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ANNUS DOMINI MMXIV - La Domenica delle Palme

La Pasqua è una celebrazione antica, che il popolo ebraico manda avanti da diversi millenni ed è connessa alla liberazione degli Ebrei dalla schiavitù dell'Egitto, per opera di Mosè, con l'aiuto di Dio.

La Pasqua, dunque, come molti altri riti, è una festa che Ebrei e Cristiani hanno in comune. Tanto che, e questo è ribadito fortemente dagli ultimi studi cristologici, Gesù era un vero ebreo del suo tempo, conduceva una vita da ebreo, pregava come un ebreo, ma innovò tutto ciò che la tradizione ebraica aveva reso secco e improduttivo come i tanti riti meccanici, ripetuti come formule automatiche dalle labbra degli uomini senza che il fiato provenisse dal cuore.

Nella sua vita pellegrina, spesa per il Bene, cioè l'annuncio della Parola di Dio, della misericordia del Signore, ad ammaestrare, guarire e reggere la Speranza delle genti abbandonate a sé stesse tra giochi di potere, abuso della forza, mercenarismo, fariseismo e pratiche quotidiane che usavano il nome di Dio per prevaricare sugli altri piuttosto che vivere in rettitudine.

Eppure dove passa Gesù tutto cambia. Quelli che sono pronti per il Regno capiscono chi è, chi non lo riconosce subito apre pian piano lo sguardo alla grandezza etico-morale della sua vita e del suo insegnamento. Tutti percepiscono che in Lui ci sono una forza e una tensione sovrumana. I suoi gesti, le sue parole, le sue poetiche parabole, i suoi miracoli, le sue azioni, tutto della vita di Gesù di Nazareth è improntato dall'amore per Dio. Questo è il primo segreto di Cristo. Essere Dio.

Nessun genere di esclusi dell'epoca è da Lui escluso. Il Cristianesimo che Egli insegna nella pratica non escluda ma include. Perciò il Cristianesimo, che deve essere rifare Cristo, deve essere (anche oggi) includente.

E Gesù non promette ricchezza e fama, anzi. Promette impegno, abnegazione, povertà ma all'insegna del volere di Dio.

 

Con queste premesse, Gesù Cristo mangia con i propri discepoli l'Ultima Pasqua.

La data di questo evento sembrava essere l'anno 33, imperatore Tiberio, ma è oggetto di analisi l'errore nella datazione che Dionigi ha commesso nei primi secoli ed alcuni riferimenti sparsi nei Vangeli, per cui la data dell'Ultima Pasqua dovrebbe essere compresa in un periodo tra il 30 e il 36 d.C.

 

La Domenica delle Palme è precedente la Pasqua e rappresenta, per tutti i Cristiani, la fine del periodo di Quaresima e l'inizio della Settimana Santa, l'ultima settimana di vita terrena e umana di Cristo Gesù.

Gesù, in quest'ultima settimana, compie ciò per cui il Padre lo ha inviato.

La redenzione dell'umanità.

 

Pure, la Domenica delle Palme ha un forte significato simbolico-poetico.

La massima pubblicità, per Gesù, entrare in Gerusalemme a dorso di asino, acclamato da due ali di folla che benedice Dio, agitando rami di ulivo abbondanti in quella zona, per avere mandato il Messia.

Gesù è stato guardato con sospetto, ripudiato dai familiari e dai conterranei, ha subito tentativi di uccisione, venne continuamente messo alla prova per trovare nelle sue parole qualcosa per cui accusarlo, molti non credettero in Lui, molti lo credevano pazzo, molti lo insultavano (e lo insulteranno fino alla fine). Il mondo e il cuore degli uomini non è mai cambiato: può riempirsi di cielo o di fango, a seconda di cosa si scelga.

E Gerusalemme, almeno quel giorno, scelse il cielo.

Tutti ad esultare: Evviva il Figlio di Davide!

 

Eppure, se questa gloria era certamente il frutto dell'instancabile predicazione di Gesù Cristo per tutto Israele e per tutta la Palestina, presto, nel giro di pochi giorno, si sarebbe passati dall'acclamazione a Messia all'acclamazione alla Croce, come mentitore e sobillatore del popolo.

Stesso popolo, qualche giorno dopo. Ahi, quanto il popolo è mutevole.

Come era nel peccato, come ha visto la Luce sorgere in mezzo ad Esso, come si è convertito, come ha creduto, così, alla prima difficoltà, con Gesù in ceppi, si è lasciato abbindolare o si è lasciato corrompere o si è lasciato impaurire dal Sinedrio e dal Sommo Sacerdote.


E così si è ripetuta la solita storia dell'incostanza e dell'infedeltà del popolo e degli uomini verso il Creatore del Cielo e della Terra.

Così le storie di Noè, dei profeti e di Saul sembrò che prevalessero su quelle di Mosè e di Davide.

 

La Domenica delle Palme è questo ritorno, in primavera, a seconda del ciclo lunare, dell'alternarsi della sorte sui nostri capi ma anche della benedizione che Dio proietta su tutti coloro che rifanno Cristo, che fanno Cristianesimo della propria vita.


 


 

 

ANNUS DOMINI MMXIV - La Domenica delle Palme

La Pasqua è una celebrazione antica, che il popolo ebraico manda avanti da diversi millenni ed è connessa alla liberazione degli Ebrei dalla schiavitù dell'Egitto, per opera di Mosè, con l'aiuto di Dio.

La Pasqua, dunque, come molti altri riti, è una festa che Ebrei e Cristiani hanno in comune. Tanto che, e questo è ribadito fortemente dagli ultimi studi cristologici, Gesù era un vero ebreo del suo tempo, conduceva una vita da ebreo, pregava come un ebreo, ma innovò tutto ciò che la tradizione ebraica aveva reso secco e improduttivo come i tanti riti meccanici, ripetuti come formule automatiche dalle labbra degli uomini senza che il fiato provenisse dal cuore.

Nella sua vita pellegrina, spesa per il Bene, cioè l'annuncio della Parola di Dio, della misericordia del Signore, ad ammaestrare, guarire e reggere la Speranza delle genti abbandonate a sé stesse tra giochi di potere, abuso della forza, mercenarismo, fariseismo e pratiche quotidiane che usavano il nome di Dio per prevaricare sugli altri piuttosto che vivere in rettitudine.

Eppure dove passa Gesù tutto cambia. Quelli che sono pronti per il Regno capiscono chi è, chi non lo riconosce subito apre pian piano lo sguardo alla grandezza etico-morale della sua vita e del suo insegnamento. Tutti percepiscono che in Lui ci sono una forza e una tensione sovrumana. I suoi gesti, le sue parole, le sue poetiche parabole, i suoi miracoli, le sue azioni, tutto della vita di Gesù di Nazareth è improntato dall'amore per Dio. Questo è il primo segreto di Cristo. Essere Dio.

Nessun genere di esclusi dell'epoca è da Lui escluso. Il Cristianesimo che Egli insegna nella pratica non escluda ma include. Perciò il Cristianesimo, che deve essere rifare Cristo, deve essere (anche oggi) includente.

E Gesù non promette ricchezza e fama, anzi. Promette impegno, abnegazione, povertà ma all'insegna del volere di Dio.

 

Con queste premesse, Gesù Cristo mangia con i propri discepoli l'Ultima Pasqua.

La data di questo evento sembrava essere l'anno 33, imperatore Tiberio, ma è oggetto di analisi l'errore nella datazione che Dionigi ha commesso nei primi secoli ed alcuni riferimenti sparsi nei Vangeli, per cui la data dell'Ultima Pasqua dovrebbe essere compresa in un periodo tra il 30 e il 36 d.C.

 

La Domenica delle Palme è precedente la Pasqua e rappresenta, per tutti i Cristiani, la fine del periodo di Quaresima e l'inizio della Settimana Santa, l'ultima settimana di vita terrena e umana di Cristo Gesù.

Gesù, in quest'ultima settimana, compie ciò per cui il Padre lo ha inviato.

La redenzione dell'umanità.

 

Pure, la Domenica delle Palme ha un forte significato simbolico-poetico.

La massima pubblicità, per Gesù, entrare in Gerusalemme a dorso di asino, acclamato da due ali di folla che benedice Dio, agitando rami di ulivo abbondanti in quella zona, per avere mandato il Messia.

Gesù è stato guardato con sospetto, ripudiato dai familiari e dai conterranei, ha subito tentativi di uccisione, venne continuamente messo alla prova per trovare nelle sue parole qualcosa per cui accusarlo, molti non credettero in Lui, molti lo credevano pazzo, molti lo insultavano (e lo insulteranno fino alla fine). Il mondo e il cuore degli uomini non è mai cambiato: può riempirsi di cielo o di fango, a seconda di cosa si scelga.

E Gerusalemme, almeno quel giorno, scelse il cielo.

Tutti ad esultare: Evviva il Figlio di Davide!

 

Eppure, se questa gloria era certamente il frutto dell'instancabile predicazione di Gesù Cristo per tutto Israele e per tutta la Palestina, presto, nel giro di pochi giorno, si sarebbe passati dall'acclamazione a Messia all'acclamazione alla Croce, come mentitore e sobillatore del popolo.

Stesso popolo, qualche giorno dopo. Ahi, quanto il popolo è mutevole.

Come era nel peccato, come ha visto la Luce sorgere in mezzo ad Esso, come si è convertito, come ha creduto, così, alla prima difficoltà, con Gesù in ceppi, si è lasciato abbindolare o si è lasciato corrompere o si è lasciato impaurire dal Sinedrio e dal Sommo Sacerdote.


E così si è ripetuta la solita storia dell'incostanza e dell'infedeltà del popolo e degli uomini verso il Creatore del Cielo e della Terra.

Così le storie di Noè, dei profeti e di Saul sembrò che prevalessero su quelle di Mosè e di Davide.

 

La Domenica delle Palme è questo ritorno, in primavera, a seconda del ciclo lunare, dell'alternarsi della sorte sui nostri capi ma anche della benedizione che Dio proietta su tutti coloro che rifanno Cristo, che fanno Cristianesimo della propria vita.


 


 

ANNUS DOMINI MMXIV - IL CIECO NATO

Il Vangelo secondo Giovanni, l'ultimo dei Vangeli canonici, oggi ci ha presentato la vicenda grande e mirabile del cieco nato.

In queste pagine noi troviamo la maggior parte degli elementi innovativi nella lezione di Gesù di Nazareth.

Alle tante e forsennate domande dei Giudei equivalgono altrettante lodevoli e magistrali risposte di chi a Gesù credeva, incorniciate da due risposte dello stesso Gesù.

  • I Giudei domandano chi abbia peccato, se il cieco o i genitori del cieco, perché egli nascesse così. E qui apriamo il capitolo del paganesimo delle religioni antiche (Ebraismo compreso) secondo il quale se uno è nato cieco o zoppo o con qualche disabilità fisica o mentale c'è il peccato di mezzo.

Pregiudizio arrivato, attraverso i secoli, sino a noi, ai nostri giorni in alcune parti d'Italia e che oggi cambia veste ma rimane comunque presente. Non si sente di persone disabili picchiate? Non si sente di persone disabili non aiutate dalla società? Non sono le persone disabili alcune volte emarginate?

(Anche se molto per loro è stato fatto ed è giusto ricordarlo?).

 

Gesù, quindi, smonta il ragionamento antico e la vecchia categoria del peccato. Non è per peccato che egli è nato così - non è per difetto e non è per mancanza di nessuno -  ma è per aggiunta, è perché siano manifestate in lui le opere di Dio!

 

Qualcuno che si perita di giudicare il Cristianesimo (il che sarebbe operazione culturale prima che religiosa, se si leggessero e si approfondissero le letture), mi ha detto: allora, meglio nascere storpi o monchi?  Meglio nascere con qualche deformità? Meglio nascere così, cosicché potremo dire "sono nato così, Dio mi ama!", "Dio ha voluto che nascessi così".

Tale ragionamento, tuttavia, è così lontano non dico dalla teologia di Cristo ma dico dalla semplice comprensione testuale che lascio al mio lettore di dire se considerazioni siffatte non siano fotocopiature del discorso dei Giudei...

 

  • Gesù, dunque, compie il miracolo di ridonare la vista al cieco.
  • I Giudei e coloro che rivedono il mendicante che vede perfettamente, oltre che meravigliarsi, quasi non lo riconoscono, cosa per lo meno singolare. Si tratta di lui? Di uno che gli somiglia?
  • GIUDEI. PRIMA DOMANDA AL MIRACOLATO- I Giudei chiedono una prima volta al cieco ora vedente se fosse lui il cieco di poco prima.
  • GIUDEI. SECONDA DOMANDA AL MIRACOLATO - Chi ti ha ridonato la vista?
  • I FARISEI. TERZA DOMANDA AL MIRACOLATO - Il cieco replica ciò che ha già detto.
  • I FARISEI - QUARTA DOMANDA AL MIRACOLATO - Chi è per te questo Gesù? Il miracolato risponde che per lui è un profeta.
  • GIUDEI - QUINTA DOMANDA, AI GENITORI DEL MIRACOLATO - Risposta imbarazzata e impaurita dei genitori che, molto cautamente, confermano solo che il loro figlio è nato cieco ma chiedono di interrogare lui: ha già l'età.
  • GIUDEI. SESTA DOMANDA, AL MIRACOLATO - Il miracolato replica, annoiato, di avere già risposto a queste stesse domande ed anzi risponde chiedendo "Volete diventare suoi discepoli". Quelli si arrabbiano e lo accusano di essere egli un discepolo di quel Gesù mentre loro sono discepoli di Mosé.
  • RISPOSTA DEL MIRACOLATO - Lo stupore è che non sapete nulla di lui e lo giudicate (cosa sempre attuale, criticare ciò che neppure si conosce!). Se non fosse stato un uomo di Dio non avrebbe potuto nulla. Invece, quest'opera lo fa uomo di Dio. Questa risposta coincide con un altro luogo del Vangelo in cui Gesù prega chi è vicino a non credere a lui ma alle opere che egli compie! Perfetto sillogismo, diremmo!
  • GESù INTERROGA IL MIRACOLATO
  • IL MIRACOLATO RISPONDE CON UN ATTO DI FEDE
  • FARISEI. DOMANDA A GESù.
  • RISPOSTA DI GESù. Chiusura del cerchio. Se foste cieci non avreste peccato. Un nato cieco non è un peccatore. Gesù spezza le catene di alcune illogicità del pensiero antico. Perché dite di vedere non vedete. La supponenza dei Farisei, la loro migliore virtù portata all'eccesso, diventa il loro stesso limite. Lezione di vita, come sempre!
 

La Madonna dei Sette Veli

 

 

 

 

 

 

Per amore del mio popolo non tacerò... e il grande Cristianesimo di don Peppe Diana

 

Vent'anni. Tempus inesorabile fugit...

E il tempo, si sa, è come un fiume impetuoso che trascina con sé tutto, tanto che la vita umana, questo sole di Marzo fuori alle finestre, questo cuore che batte, questi uomini miei contemporanei, quest'epoca e questa Italia, tutto un giorno sarà passato.

Con questa prospettiva, l'uomo sta sulla Terra come creatura tra le creature e come miracolo in mezzo all'infinito dei mondi, con un corpo da nutrire e un'anima da liberare. E proprio due forze possenti e invincibili come l'amore e l la libertà di scelta fanno sì che l'uomo non sia una macchina o un calcolatore che 2+2 fa 4 ma è libero, è libero di scegliere che numero essere, che vita condurre, che cosa fare di sé e quale strada seguire.

Anche e soprattutto quando nasci alla fine degli anni '50 del secolo più atroce della storia umana (proprio perché il più scientifico e il più tecnologico...); specie quando nasci nel Mezzogiorno d'Italia, la cui storia è fonte di meraviglia e allo stesso tempo di incomprensione e violenza; specie quando nasci tra Napoli e Caserta, in una terra per troppo tempo abbandonata da alcuni per diventare feudo e rifugio di altri.

Questa terra ha un nome e un centro, Casal di Principe.

Forse la toponomastica, così regale, diciamo, forse la comoda posizione, forse l'ambiente difficile costituito da famiglie disagiate che hanno dovuto adattarsi da sé alla vita, ha reso possibile che Casal di Principe diventasse il centro di quel fenomeno che in tutto il mondo è conosciuto come camorra.

Lungaggini filologiche sulla distinzione tra mafia, 'ndrangheta e camorra sono utili alle genti del settore. Sia mafia che camorra che 'ndrangheta significano il Male e sono l'opposto del Bene, l'antitesi alla Volontà di Dio.

Molti allora insorgeranno dicendo, come sento spesso dire, "i camorristi pregano, i camorristi leggono la Bibbia, i camorristi si appoggiano alla Chiesa...".

E qui, davanti a questa accusa che è un'evidente dimostrazione di confusione, mi si permetterà di ribadire qualche nozione storico-epistemologica dell'animo umano e degli eventi.

Sin dalla creazione del mondo e sin dalla fondazione delle civiltà si deve fare una precisa distinzione tra il dire e il fare. Un antico adagio recita, infatti, tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare!

Così, se io sono vescovo ma penso alla ricchezza più che a predicare il Vangelo, sono veramente un vescovo? NO! Sarò uno che si traveste ogni giorni, per convenienza, per paura, per ...

Se io sono Primo Ministro ma penso a rubare i cavoli miei, sono veramente un Primo Ministro? Cioè, sono Primo Ministro perché ho il titolo o sono Primo Ministro perché, avendo il titolo, lo onoro, mi comporto in modo degno del titolo che ricopro?

E così si può dire del cristiano! Il che ridurrà pure ad un numero esiguo il grande concorso umano che "a voce" fa contare in miliardi i cristiani nel mondo, ma fa anche sì che si scindano i cristiani farisaici dai veri cristiani.

Cristiani farisaici non ne sono mancati, tra i Papi persino (per capirci), e non ne mancano. Cristiani veri, cristiani in fraternità con Cristo nemmeno, a Dio piacendo.

E uno di questi è nato proprio nel 1958, proprio nel Sud Italia, proprio tra Napoli e Caserta, a Casal di Principe.

Se dovessimo essere macchine dovremmo pensare: nato a Casal di Principe o è camorrista o è uno che ha paura della camorra e sta zitto.

Invece no! Invece io sto parlando di don Peppe Diana, di un prete di una piccola parrocchia di una malfamata cittadina meridionale che con la sua vita ha onorato l'amicizia con Cristo, la tunica talare, l'essere scout, l'essere cittadino, l'essere ultimo tra gli ultimi.

Don Peppe Diana, nato a Casal di Principe il 4 Luglio 1958, è stato un grande piccolo amico di Gesù di Nazareth non per il titolo ma per la vita che ha condotto.

 

 


E che vita ha condotto? Una vita libera, scelta da lui, non condizionata automaticamente e meccanicamente dall'ambiente in cui l'ha vissuta.

Chi non è meridionale potrà capire questo discorso, ma chi è meridionale potrà sentire dentro di sé questo discorso.

Il Mezzogiorno d'Italia è stato, in quegli anni come oggi, abbandonato dalla politica nazionale, lasciato DELIBERATAMENTE in mano ai cosiddetti clan.

Anche una cronistoria delle famiglie camorriste e dei delitti è più interesse del settore. Il sangue è rosso. Il sangue brucia. Il sangue chiama altro sangue, sempre. Se l'uomo, in millenni di civiltà, non avesse creato e prodotto tutta questa grandezza che noi vediamo attorno, non avesse usato la fantastica intelligenza che possiede e le immense risorse che gli sono state date, sarebbe come una qualsiasi delle specie animali del pianeta, le quali per lo più usano violenza e lotta per regolarsi all'interno delle loro cerchie. E non è neppure totalmente vero questo, poiché anche nel regno animale ci sono lodevoli eccezioni e fitti richiami a sentimenti di pietà e di amore provati anche dagli amici animali. Pure, per questo, i camorristi e i mafiosi in genere e i violenti sono coloro che, rinunciando alla grandezza umana di intelligenza e pietà, libertà e amore, usano odio e violenza quanto moltissimi animali.

Don Peppe Diana conosceva tutto questo. Conosceva il suo popolo, conosceva le famiglie camorriste, vedeva la prostrazione della gente, lasciata a marcire nell'ignoranza medievale dell'inevitabilità di soggiacere a quella violenza. Lasciata a marcire perché molti meridionali hanno sempre sognato il riscatto della propria terra, ma spesso hanno dovuto far prima a smettere di sognare piuttosto che a impegnarsi perché qualcosa cambiasse. Perché impegnarsi voleva dire opporsi al pizzo, alla prepotenza, alla violenza. Impegnarsi voleva dire prendersi cura di una debole piantina, fiaccata dal gelo dell'inverno e dalla piogge, proteggerla, zapparci attorno, sorvegliarla, per poi aspettare che in primavera risorgesse.

Pochi hanno avuto questa sconsiderata gioia di sognare. Don Peppe lo sapeva e, credendo in Dio, sentendosi libero, scelse la via della sconsiderata gioia!

Entrato in seminario ad Aversa nel 1968 va a studiare a Napoli. Dieci anni dopo entra nel gruppo degli Scout cattolici (Agesci) dove diviene caporeparto.

 


Insegna religione nelle scuola pubblica.

Nel 1982 diventa sacerdote.

Don Peppino Diana, allora, iniziò una personale battaglia culturale e morale contro la camorra. Cercò di recuperare ragazzi perduti, parla con famiglie che avevano rapporti con i clan (forse con le stesse famiglie dei clan).

Il suo impegno genera coraggio e speranza. La Speranza è il preludio dell'Amore e l'Amore è l'opposto della camorra.

Il suo impegno produsse vita, a far scaturire riflessioni, specie quando, proprio in mezzo alle faide che insanguinavano quella terra, don Peppe Diana, in accordo con altri parroci (ma poco seguito dalle alte gerarchie ecclesiastiche), ha letto e fatto leggere ovunque un documento scritto manu propria e che sarebbe passato alla storia: Per amore del mio popolo non tacerò!

 

Siamo preoccupati,

assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra. Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere “segno di contraddizione”. Coscienti che come chiesa “dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che è la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà”.

La Camorra

La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana. I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l'imprenditore più temerario; traffici illeciti per l'acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato.

Precise responsabilità politiche

È oramai chiaro che il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l'infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli. La Camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche è caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi. La Camorra rappresenta uno Stato deviante parallelo rispetto a quello ufficiale, privo però di burocrazia e d'intermediari che sono la piaga dello Stato legale. L'inefficienza delle politiche occupazionali, della sanità, ecc; non possono che creare sfiducia negli abitanti dei nostri paesi; un preoccupato senso di rischio che si va facendo più forte ogni giorno che passa, l'inadeguata tutela dei legittimi interessi e diritti dei liberi cittadini; le carenze anche della nostra azione pastorale ci devono convincere che l'Azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una “ministerialità” di liberazione, di promozione umana e di servizio. Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di testimonianze, di esempi, per essere credibili.

Impegno dei cristiani

Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno. Dio ci chiama ad essere profeti.

  • Il Profeta fa da sentinella: vede l'ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ezechiele 3,16-18);
  • Il Profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo (Isaia 43);
  • Il Profeta invita a vivere e lui stesso vive, la Solidarietà nella sofferenza (Genesi 8,18-23);
  • Il Profeta indica come prioritaria la via della giustizia (Geremia 22,3 -Isaia 5)

Coscienti che “il nostro aiuto è nel nome del Signore” come credenti in Gesù Cristo il quale “al finir della notte si ritirava sul monte a pregare” riaffermiamo il valore anticipatorio della Preghiera che è la fonte della nostra Speranza.

NON UNA CONCLUSIONE: MA UN INIZIO

Appello

Le nostre “Chiese hanno, oggi, urgente bisogno di indicazioni articolate per impostare coraggiosi piani pastorali, aderenti alla nuova realtà; in particolare dovranno farsi promotrici di serie analisi sul piano culturale, politico ed economico coinvolgendo in ciò gli intellettuali finora troppo assenti da queste piaghe”. Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa. Alla Chiesa che non rinunci al suo ruolo “profetico” affinché gli strumenti della denuncia e dell'annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili (Lam. 3,17-26). Tra qualche anno, non vorremmo batterci il petto colpevoli e dire con Geremia “Siamo rimasti lontani dalla pace… abbiamo dimenticato il benessere… La continua esperienza del nostro incerto vagare, in alto ed in basso,… dal nostro penoso disorientamento circa quello che bisogna decidere e fare… sono come assenzio e veleno”. »

(Forania di Casal di Principe (Parrocchie: San Nicola di Bari, S.S. Salvatore, Spirito Santo - Casal di Principe; Santa Croce e M.S.S. Annunziata - San Cipriano d'Aversa; Santa Croce – Casapesenna; M. S.S. Assunta - Villa Literno; M.S.S. Assunta - Villa di Briano; SANTUARIO DI M.SS. DI BRIANO))


(fonte: Wikipedia)

 

Questo documento faceva ammenda delle colpe individuali e collettive di tutta una terra. In particolare le colpe della Chiesa, assente ingiustificata e ingiustificabile, e dello Stato, volutamente assente.

Ribadire che quello che si vedeva non era né Cristianesimo né amore per la propria terra, l'amore per la propria terra è giustizia, uguaglianza, fratellanza, in altre parole Cristianesimo.

Questo atto di accusa e questa presa di coscienza, letta ai fedeli il giorno di Natale del 1991, ha scosso molti. Persino chi la propria coscienza l'aveva macchiata o messa a tacere.

Don Peppe non tace e non tacerà. Quell'atto, nel silenzio complice e colpevole dei più, veniva a definirsi come un ben pianificato progetto di rilancio culturale e sociale di Casal di Principe.

Cosa inaccettabile per la camorra.

La quale camorra decise di passare all'azione, alla violenza, more solito.

Armata la mano di qualche ragazzo, di quelli alla base della piramide che facevano il lavoro sporco, l'omicidio fu compiuto alle 7:20 del 19 Marzo 1994, nella sagrestia della Chiesa di San Nicola di Bari, a Casal di Principe, decreta la fine.

Il grilletto puntato contro quell'inerme, innocente, eroico sacerdote (e ogni cristiano dovrebbe essere eroico e sacerdote!) fu premuto per cinque volte.


Al funerale una marea di gente pianse quel sacerdote, la Speranza che accese e che rappresentò. Aveva sempre saputo di essere in pericolo, aveva ricevuto avvertimenti e minacce, le quali funzionavano spesso con altri che umanamente cedevano alla paura, ma con lui no! Con lui la minaccia non funzionò. Funzionò allora la pistola? Nemmeno! Nemmeno, se oggi, a vent'anni di distanza siamo qui a ricordarlo!

Tempus inesorabile fugit, ma Meminisse iuvabit.

Il tempo inesorabilmente fugge ma ricordarlo gioverà, diremmo, unendo due famose espressioni latine.

Non una fine ma un inizio, come aveva scritto don Peppe.

Anche Papa Giovanni Paolo II, nell'Angelus, lo ricordò. Sicuramente gli era già giunta notizia di don Peppe e del suo coraggio evangelico.

Di don Peppe come di don Puglisi come di tanti altri sacerdoti che, lontani dalla vita epulonica delle gerarchie ecclesiastiche, vissero vite luminose.


Il ricordo di don Peppe è qui con noi oggi e sempre.

Lo si deve, anche se in ritardo e dribblando vari tentativi di calunnia, all'impegno civile frutto di quel seme che don Peppe aveva gettato nel terreno buono. In quella visione pazza e visionaria di un uomo di  Chiesa vero che aveva visto terreno buono in tanto terreno roccioso.

 

Il Comitato don Peppe Diana è nato nel 2006.


La Rai sta dedicando una fiction in due puntate a don Peppe, intitolata come il suo scritto e interpretata dal napoletano Preziosi.

La riscoperta di don Peppe e del suo sacrificio, i libri, i film, l'attenzione che questo paladino della fede e della coscienza civile ha meritato si devono, però, per lo più a un altro martire dei giorni nostri, mai abbastanza celebrato come Roberto Saviano.

Anche a lui, un grazie che è una memoria viva di quel che sta facendo per il Napoletano, il Mezzogiorno, l'Italia e la civiltà umana tutta.

Ad maiora! In nomine Domini!

 
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