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Home POETI Foscolo e i Sonetti del 1803

Foscolo e i Sonetti del 1803


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Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
Di gente in gente, me vedrai seduto
Su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
Il fior de’ tuoi gentili anni caduto:

La madre or sol, suo dì tardo traendo,
Parla di me col tuo cenere muto:
Ma io deluse a voi le palme tendo
E sol da lunge i miei tetti saluto.

Sento gli avversi Numi, e le secrete
Cure che al viver tuo furon tempesta;
E prego anch’io nel tuo porto quiete:

Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, l’ossa mie rendete
Allora al petto della madre mesta.


Tra i dodici Sonetti pubblicati in prima edizione nel 1803 il noto "In morte del fratello Giovanni" è il decimo, collocato simbolicamente tra A Zacinto e Alla Musa.


L' 8 dicembre 1801 il fratello minore del poeta, Gian Dioniso ma chiamato Giovanni, muore a Venezia. L'ipotesi più accreditata è quella di una scelta volontaria, per i problemi recati al ventenne dalla perdita al gioco di una grossa somma di denaro che egli avrebbe sottratto (o fatto sottrarre) dalla cassa dell'esercito. Era, infatti, tenente.


Il sonetto parte con una promessa, come una formula liturgica, come a volere donare Ugo una sacralità a quello che sta per dire:

Un dì...


Solennità di re, solennità di interprete-sacerdote, solennità di vate.


s'io non andrò sempre fuggendo

è l'ipotesi, molto plausibile, se spezza la promessa che il poeta stava facendo, interponendosi tra il dì e il vedrai seduto detto all'interlocutore.


Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo

di gente in gente, me vedrai seduto

sulla tua pietra, o fratel mio, gemendo

il fior de' tuoi gentili anni caduto.


Il secondo verso è particolare, tra il "di gente in gente" e il "vedrai seduto" c'è, in posizione centrale ed enfatica il "me". Ugo si sente al centro, tirato dal destino del vagabondo costretto a girare tra le genti d'Italia e d'Europa senza pace intima né sicurezza politica, e gli affetti.

Così come al centro tra la pietra e il suo gemere pone il vocativo potente e mite, che vuole dire tutta la meravigliosa bontà che egli gli rivolge.


La metafora de "il fior de' tuoi gentili anni caduto" è assai frequente, tanto da essere uno dei topos più famosi di tutta la letteratura (non solo italiana).



La seconda quartina è un capolavoro di struggente introspezione, quasi un anticipo di quella scienza che vorrà analizzare la complessità dell'animo umano.

La madre è raffigurata con malinconica disperazione (aspetta il suo giorno estremo, anche qui torna il dì, quasi a sottolineare che quel dì iniziale che voleva essere profetico e solenne si spegnerà per lui come quello della madre nella disperazione degli eventi che incombono e del fallimento storico e personale che si impone anche per Ugo), in preda ad una lucida follia.


La madre or sol, suo dì tardo traendo,
Parla di me col tuo cenere muto:
Ma io deluse a voi le palme tendo
E sol da lunge i miei tetti saluto.


Anch'egli è reso folle dalla notizia, anch'egli vanamente tende le palme a loro due.

Vanamente per la distanza, ma vanamente anche per l'impossibilità dell'azione stessa.

"or sol ... parla" "e sol ... saluto", il sonetto è tutto ricamato di richiami interni che scandiscono la complementarietà del filo sottile che lega il destino dei tre protagonisti, perché proprio di tre protagonisti bisogna parlare.

Si potrebbe, dunque, definire il presente come un sonetto tridimensionale o triverbalizzato.

"vedrai" (verso secondo, seconda persona singolare) "parla" (verso quarto, terza persona singolare) e la maggior parte dei verbi (in prima persona singolare).




Sento gli avversi Numi, e le secrete
Cure che al viver tuo furon tempesta;
E prego anch’io nel tuo porto quiete:


Nelle due terzine torna il tono più cerimoniale dell'apertura.

Questa inattesa dichiarazione di fede all'incontrario (i Numi sono avversi, i Numi sono molti, i Numi sono pagani) scandisce la precipitazione dell'azione in una sorta di assedio al poeta. I Numi contrari, i pensieri più intimi che furono tempesta, dunque motivo di disorientamente e violenza sentimentale nell'altro, sono momenti conosciuti anche dalla vita del Nostro.

Per questo si diceva che questo sonetto è anticipatore della stagione della scienza psichiatrica, in qualche modo.

C'è qui quello che alla fine di quello stesso secolo il filosofo tedesco Vischer chiamerà empatia, la capacità di essere dentro il sentimento dell'altro, di comprendere il sentimento altrui in un gioco di sofferente immedesimazione.


E ancora un riferimento amaro alla fede, "prego anch'io", come se il porto quiete scelto fosse una consolazione alla tempesta. Il rovesciamento dei termini coinvolge non solo il verbo pregare che starebbe per medito profondamente ma anche la tempesta che è la vita e il porto che è la morte.

Rovesciamento semantico per dire il rovesciamento prodotto dal gesto.


Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, l’ossa mie rendete
Allora al petto della madre mesta.


Il ricordo di altri poeti cari al Foscolo, Catullo, Petrarca, si fa prossimo nell'ultima parte, quella conclusiva.

Il pronome questo, così immediato e così sibillino, apre alla dichiarazione non solo di una passata grande speranza nella vita propria e altrui, ma anche nel completamento della profezia annunciata all'inizio del sonetto.

Il Foscolo-vate giunge alla predizione del proprio destino, un destino di esilio, di allontanamento, di sconfitta.

Ancora una invocazione, ancora un ricordo della madre, la madre disperata e folle di prima ma anche, qui, l'allegoria della Patria. Di una patria che l'avrebbe condannato e che egli già perdona.

"Un dì..." "allora", un giorno che al poeta non sembrava poi tanto distante e che avverrà un giorno di inizio Settembre di ventiquattro anni dopo la pubblicazione dei Sonetti, quando, all'età di quarantanove anni, Foscolo, dopo la vita travagliata che ha vissuto, trova il porto desiderato.


Questa splendida poesia fa di Ugo Foscolo un poeta pieno di gentile e violento ardore per la vita e per i versi.

Un cantore del proprio esistere come paradigma dell'esistere nel mondo.

Alla tempesta dei tempi, alla tempesta della vita altrui, la propria vita tempestosa è un viaggio senza il conforto di affetti e Patria, il motivo del patriota lontano da casa e dell'amante infelice lontana dall'amata.

 

Di questa distanza è permeata la sua poetica. Questa distanza è la vicinanza che si prova leggendolo.