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Il Garda, prima immagine dell'Italia nella mitografia goethiana


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da Viaggio in Italia (1816)

di Johann Wolfgang von Goethe

 

Quello che Goethe, a 37 anni, nel 1813, intraprende non è un semplice viaggio ma è "il" viaggio.

Il Settecento, secolo internazionalista, illuminista, moderno, sostituirà una volta per tutte con il francese il millenario latino, come lingua mondiale, mentre inizierà la moda dei viaggi in Italia come meta di pellegrinaggio verso la riscoperta dell'antichità e/o per completamento necessario di esperienza culturale data la straordinarietà dell'arte, della musica, della cucina e di tante particolarità che facevano del nostro Paese una terra unica al mondo.

Goethe non solo non si sottrasse a questa moda del pellegrinaggio italico, ma subito ne restò affascinato.

 

Torbole, 12 Settembre, dopo pranzo

Quanto vorrei che i miei amici fossero per un attimo accanto a me e potessero godere della vista che mi sta dinnanzi!

Stasera avrei potuto raggiungere Verona, ma mi sarei lasciato sfuggire una meraviglia della natura, uno spettacolo incantevole, il lago di Garda;

Non ho voluto perderlo, e sono stato magnificamente ricompensato di tale diversione. Poco dopo le cinque partii da Rovereto e presi per una valle laterale, le cui acque scendono all’Adige. Quando si arriva in cima, si vede sporgere da dietro un enorme sbarramento roccioso, che bisogna oltrepassare per scendere al lago. Qui ho visto bellissime rocce calcaree per uno studio di pittura.

•Giunti in basso, si trova un paesello affacciato all’estremità settentrionale del lago, con un piccolo porto, o per meglio dire un approdo, chiamato Torbole. Lungo il cammino gli alberi di fico mi avevano già tenuto spesso compagnia, e quando scesi giù per l’anfiteatro di roccia trovai i primi ulivi carichi di olive. Qui incontrai anche per la prima volta, come frutto ordinario, i piccoli fichi bianchi che mi aveva promesso la contessa Lanthieri.

Dalla stanza dove mi trovo una porta conduce al cortile sottostante; vi ho spinto davanti la tavola e ho disegnato a grandi linee il panorama. Si vede il lago per quasi tutta la sua lunghezza; solo in fondo a sinistra esso si sottrae al nostro sguardo. Ambedue le rive, incassate fra colline e montagne, risplendono di innumerevoli piccoli paesi.

Dopo la mezzanotte il vento soffia da nord verso sud; perciò, chi vuole discendere il lago deve partire a quell’ora, poiché i venti cambiano direzione qualche ora prima del sorgere del sole e soffiano verso nord.

Adesso, di pomeriggio, il vento mi spira decisamente all’incontro e attenua gradevolmente la vampa del sole. Nello stesso momento il Vokmann m’informa che questo lago un tempo si chiamava Benacus, e cita un verso di Virgilio che lo ricorda:

Fluctibus et fremitu resonans Benace marino

E’ il primo verso latino il cui contenuto mi stia vivo davanti agli occhi; e nel momento che il vento diventa sempre più forte e il lago batte l’approdo con onde sempre più alte, è vero ancor oggi come tanti secoli fa.

Molte cose sono cambiate, ma il vento agita ancora il lago, e lo spettacolo che si gode è ancor sempre nobilitato da un verso di Virgilio.

Scritto al quarantacinquesimo grado e cinquanta minuti primi di latitudine.

Sono andato a passeggio nella frescura serale, ed è proprio un paese nuovo, un ambiente affatto diverso quello in cui mi trovo adesso. La gente vive una vita rilassata, noncurante: prima di tutto le porte non hanno serrature, ma l’oste mi assicurò che potevo star tranquillo, anche se tutto il mio bagaglio fosse consistito di diamanti;

in secondo luogo le finestre sono chiuse da carta oleata anziché da vetri; infine manca una comodità molto importante, dimodoché si è abbastanza prossimi allo stato di natura. Quando chiesi al servo come soddisfare una certa necessità, egli accennò al cortile di sotto: «Qui abasso può servirsi!». Io gli domandai: «Dove?». «Da per tutto, dove vuol!» rispose cortesemente. In ogni cosa si manifesta qui a massima trascuratezza, ma anche molta vitalità e operosità. Tutto il giorno si dove tra le vicine un cicalare, un gridare, e nello stesso tempo tutte hanno da fare qualcosa, da attendere a qualcosa.

Non ho ancora visto una donna starsene in ozio.

Con enfasi italiana l’oste mi annunziò che era felice di potermi servire una trota squisitissima. Le pescano vicino a Torbole, dove il torrente scende dalla montagna e i pesci tentano di risalire la corrente. L’imperatore ricava da questa pesca diecimila fiorini di appalto. Non sono come le nostre trote: sono grosse, pesano a volte anche cinquanta libbre e sono punteggiate lungo tutto il corpo fino alla testa; il sapore sta fra la trota e il salmone, ottimo e delicato.

Ma la mia vera delizia sono le frutta, i fichi e anche le pere, che qui, dove già crescono i limoni, devono essere eccellenti.

 

13 Settembre, sera


Alle ore tre di stamane partii da Torbole con due barcaioli. Sul principio il vento era favorevole, tanto che poterono spiegare la vela. La mattina era splendida, bensì nuvolosa, ma, all’albeggiare, tranquilla. Passammo davanti a Limone, dagli orti ripidi disposti a terrazze e piantati a limoni, che offrono un florido e lindo panorama. Ogni orto consiste di file di pilastri bianchi quadrangolari, che, a una certa distanza, l’uno dall’altro, risalgono il monte a gradinate.

Sopra i pilastri sono posate robuste pertiche per proteggere d’inverno gli alberi piantati negl’intervalli.

La lentezza del viaggio era propizia alla vista e all’osservazione di tutti quei bei particolari, e stavamo già oltrepassando Malcesine quando il vento cambiò bruscamente e soffiò nella direzione normalmente tenuta di giorno, cioè verso nord. I remi servivano a poco contro la violenza delle acque; dovemmo perciò approdare nel porto di Malcesine, prima località veneziana sulla sponda orientale del lago. Quando si ha a che fare con l’acqua non si può mai dire: oggi sarò qui oppure sarò là. Penso di sfruttare nel miglior modo questa sosta, soprattutto per fare un disegno del castello, elegantemente posto a specchio dell’acqua. Oggi, passandovi davanti in barca,  ne ho già ripreso uno schizzo.


14 Settembre


Il vento contrario che mi sospinse ieri nel porto di Malcesine mi ha procurato un’avventura pericolosa, che però ho sopportato di buon umore e che nel ricordo mi appare divertente. Come mi ero proposto, stamattina di buon’ora mi sono recato al vecchio castello, il quale è accessibile a chiunque, essendo privo di porte, custodi e di sentinelle. Mi sedetti nel cortile di fronte alla vecchia torre, costruita sulla roccia viva; avevo trovato un comodissimo posticino per disegnare: entro il vano d’una porta chiusa, alta tre o quattro gradini dal suolo, un sedile di pietra lavorata, come ancora se ne trovano anche nei nostri vecchi palazzi.

Non ero lì da molto, quando varia gente entrò nel cortile e prese a osservarmi andando e venendo. Il gruppo s’infittì. Era evidente che il mio disegno li aveva incuriositi; io però non mi lasciavo disturbare e proseguivo tranquillo. Alla fine un uomo dall’aspetto non molto rassicurante si aprì un varco fino a me e domandò cosa stavo facendo. Gli risposi che ritraevo la vecchia torre per conservare un ricordo di Malcesine. Lui replicò che non era permesso e che me ne andassi. Poiché aveva parlato in un rozzo vernacolo veneto, quasi incomprensibile per me, gli risposi che non avevo inteso. Allora, con flemma tutta italiana, egli afferrò il mio foglio, lo strappò e poi lo rimise sul cartone.