Giuseppe Gioacchino Belli: il potere e il popolo attraverso la satira
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Giuseppe Gioacchino Belli nacque a Roma il 7 Settembre 1791 e vi morì il 21 Dicembre 1863.
Letterato di poca fortuna e dalla vita privata alquanto canonica, cominciò, quasi per scherzo a comporre sonetti satirici. Da lì la sua vena ne portò alla produzione un numero iperbolico, 2200 circa, che formano l'opera letteraria in dialetto più nota d'Italia.
Non che non ce ne fossero di precedenti, che anzi erano abbondanti, e non che lo stesso Belli non si dicesse riconoscente di molti, ad esempio del milanese Carlo Porta, tuttavia perché Roma era una città particolare, perché la cultura romanesca è in tutto unica e irripetibile, perché il genio del Poeta ha saputo interpretare il suo popolo e il rapporto tormentoso tra popolo-Chiesa (istituzione) e Papa, i suoi Sonetti restano quel "monumento alla plebe romana" (com'egli stesso scrisse nella prefazione) che lo hanno onorato di gloria.
Analizziamo qualche sonetto.
1698. Er passa-mano
Er Papa, er Visceddio, Nostro Siggnore,
è un Padre eterno com’er Padr’Eterno.
Ciovè nun more, o, ppe ddí mmejjo, more,
ma mmore solamente in ne l’isterno.
Ché cquanno er corpo suo lassa er governo,
l’anima, ferma in ne l’antico onore,
nun va nné in paradiso né a l’inferno,
passa subbito in corpo ar zuccessore.
Accusí ppò vvariasse un po’ er cervello,
lo stòmmico, l’orecchie, er naso, er pelo;
ma er Papa, in quant’a Ppapa, è ssempre quello.
E ppe cquesto oggni corpo distinato
a cquella indiggnità, ccasca dar celo
senz’anima, e nun porta antro ch’er fiato.
4 ottobre 1835
L'ironia di questo sonetto si esprime dall'analisi tra esteriorità (carica, ruolo sociale) e interiorità (animo umano).
Si dice, scherzosamente, che il Papa ha un'anima eterna come quella del Padre Eterno e non muore, ovvero muore solo il suo corpo. Così, dice il Poeta, l'anima eterna del Papa passa al Papa successore, in una stasi ciclica dell'anima che fa del Papa una eterna conservazione di quell'anima lì che trasmigra in tanti corpi. Una sorta, dunque, di reincarnazione.
Così, dice, po' cambiare il pensiero, lo stomaco, le orecchie, l'esteriorità... ma
MA ER PAPA, IN QUANT'A PPAPA,è SEMPRE QUELLO.
Il Papa come Papa, nell'animo, nell'animo di conservatore, di benefattore dei ricchi, di cattivo monarca e cattivo sacerdote, è quello! Quasi per fatalità!
Da notare anche l'ironia dell' INDIGNITà, il corpo distinato a quella indignità (per dire dignità dice, in romanesco, indignità, come se l'essere Papa fosse una cosa non degna dell'uomo!).
Magistrale lezione di teologia e di ambiguità di lessico che restituisce quello che il Papa è stato per secoli e che, per fortuna, adesso pare non essere.