Niccolò Machiavelli e l'amministrazione dello Stato
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Il Machiavelli è la coscienza e il pensiero del secolo, la società che guarda in sè e s'interroga
e si conosce; è la negazione più profonda del medio evo, e insieme l'affermazione più chiara de'
nuovi tempi; è il materialismo dissimulato come dottrina, e ammesso nel fatto e presente in tutte le
sue applicazioni alla vita.
(F. De Sanctis - da Storia della letteratura italiana 1860)
Niccolò Machiavelli (Firenze, 3 Maggio 1469- Firenze, 21 Giugno 1527)
1513- 2013. 500 anni fa Niccolò Machiavelli scrisse la prima vera opera politica dell'umanità, il De Principatibus (Sui principati), opera nota col nome Il principe.
Scritto in pochi mesi di intenso studio dei classici, Il principe nasce come opera d'esilio. Infatti, se Machiavelli aveva fatto diretta esperienza delle cose del governo, essendo stato segretario della Repubblica fiorentina tra il 1498 e il 1512, quando i Medici tornarono in città scacciarono tutti gli intellettuali collusi con i ribelli. Machiavelli fu spedito a Sant'Adrea di Percussina, località di San Casciano di Val di Pesa.
La casa che lo ospitò ha nome Albergaccio. Proprio da qui spediva le innumerevoli lettere agli amici che confortavano una vita oltremodo forzata. Ed è proprio una di queste lettere che ci dà notizia della composizione dell'opera, quella scritta il 10 Dicembre 1513 e indirizzata al suo amico Francesco Vettori (ambasciatore della Repubblica a Roma).
LA GRANDEZZA DE IL PRINCIPE
La grandezza de Il principe è, innanzitutto, quella delle grandi opere della letteratura mondiale, essere senza tempo. La riflessione filosofico-politica condotta da Niccolò è assolutamente attuale (se si eccettuano evidenti azioni e pensieri dovute alla società e alla contingenza del secolo, cosa ineliminibile se uno scrittore è prima di tutto un osservatore).
Con una dedica iniziale e ventisei capitoli, i titoli dei quali scritti in latino e il testo in fiorentino, è un'opera che concepita in modo razionale e che affronta vari problemi e questioni.
DEDICA
NICOLAUS MACLAVELLUS AD MAGNIFICUM LAURENTIUM MEDICEM.
[Nicolò Machiavelli al Magnifico Lorenzo de’ Medici]
Sogliono, el più delle volte, coloro che desiderano acquistare grazia appresso uno Principe,farseli incontro con quelle cose che infra le loro abbino più care, o delle quali vegghino lui piùdelettarsi; donde si vede molte volte essere loro presentati cavalli, arme, drappi d'oro, prete preziosee simili ornamenti, degni della grandezza di quelli. Desiderando io adunque, offerirmi, alla vostraMagnificenzia con qualche testimone della servitù mia verso di quella, non ho trovato intra la miasuppellettile cosa, quale io abbia più cara o tanto esístimi quanto la cognizione delle azioni delliuomini grandi, imparata con una lunga esperienzia delle cose moderne et una continua lezione delleantique: le quali avendo io con gran diligenzia lungamente escogitate et esaminate, et ora in unopiccolo volume ridotte, mando alla Magnificenzia Vostra. E benché io iudichi questa opera indegnadella presenzia di quella, tamen confido assai che per sua umanità li debba essere accetta,considerato come da me non li possa esser fatto maggiore dono, che darle facultà di potere inbrevissimo tempo intendere tutto quello che io in tanti anni e con tanti mia disagi e periculi hoconosciuto. La quale opera io non ho ornata né ripiena di clausule ample, o di parole ampullose emagnifiche, o di qualunque altro lenocinio o ornamento estrinseco con li quali molti sogliono le lorocose descrivere et ornare; perché io ho voluto, o che veruna cosa la onori, o che solamente la varietàdella materia e la gravità del subietto la facci grata. Né voglio sia reputata presunzione se uno uomodi basso et infimo stato ardisce discorrere e regolare e' governi de' principi; perché, cosí come coloroche disegnono e' paesi si pongano bassi nel piano a considerare la natura de' monti e de' luoghi alti,Principe - Niccolò Machiavelli6e per considerare quella de' bassi si pongano alto sopra monti, similmente, a conoscere bene lanatura de' populi, bisogna essere principe, et a conoscere bene quella de' principi, bisogna esserepopulare.Pigli, adunque, Vostra Magnificenzia questo piccolo dono con quello animo che io lomando; il quale se da quella fia diligentemente considerato e letto, vi conoscerà drento uno estremomio desiderio, che Lei pervenga a quella grandezza che la fortuna e le altre sue qualità lipromettano. E, se Vostra Magnificenzia dallo apice della sua altezza qualche volta volgerà li occhiin questi luoghi bassi, conoscerà quanto io indegnamente sopporti una grande e continua malignitàdi fortuna.
(Sepolcro di Machiavelli in Santa Croce a Firenze, 1787, con la dedica "Tanto nomini nullum par elogium "A tanto nome (a così grande nome) nessun elogio è pari!").
IL TITOLO DELL'OPERA, OVVERO QUANDO TRADURRE VUOL DIRE INVENTARE
Essendo chi scrive convinto da anni che la traduzione dei libri degli antichi, salvo eccezioni di traduttori illustri e fedeli al testo piuttosto che al capriccio personale, ma non più letti perché "scrivono difficile", per dimostrare a te, caro lettore, come i libri antichi siano oggi reinventati ti sottopongo un caso eclatante.
Il titolo dell'opera di Machiavelli è De principatibus.
Ora, l'ablativo plurale di principatus è principatibus e il de consacra la scelta dell'ablativo introducendo un complemento di argomento.
La traduzione letterale, dunque, sarà Sui principi, avendo l'autore omesso di scrivere Trattato (Saggio) sui principati.
Tuttavia, come viene venduto in libreria, come viene catalogato in biblioteca, come è noto in tutto il mondo questo lavoro? Come, Il principe.
Bene, tale semplice invenzione di un titolo, che non è assolutamente l'originario, stravolge l'intenzione dell'autore e con essa anche tutta la filosofia della scrittura e indirizza il lettore a focalizzarsi principalmente su quell'esempio che prende l'ultima parte del libro, su quel Cesare Borgia che, a mio giudizio, lungi dall'essere veramente lodato, è fatto passare per micco, da Machiavelli, che quasi si compiace per la sua ventura e per la sua spietatezza finite così tragicamente e, se per certi versi loda il carattere risoluto del condottiero, dall'altra resta sempre il discorso che egli debba essere più amato che odiato, più rispettato che temuto. Lo si capisce chiaramente leggendo attentamente l'esortatio finale.
Per cui, a cinquecento anni dal libro forse sarà molto difficile tornare a chiamare Sui principati quello che la vulgata ha stabilito coattamente essere Il principe, pure questo ci aiuti a capire con quanto amore e quanta dedizione dobbiamo tornare a studiare gli antichi e con quanto rispetto per quello che essi volevano dirci e poco per coloro che fanno dir loro quello che essi stessi vorrebbero avessero detto.
(Avvertenza: di logica conseguenza, se all'inizio si è scelto di indicare l'opera con il nome consueto de Il Principe, qui d'ora innanzi la sin indicherà come il De principatibus o Sui principati, perché quando si sia accertato un errore, abbenché sia commesso da tutti, rimane un errore e io non posso sopportare che le cose nate da palese errore diventino legge, quando si possa ancora recuperare).
I. QUOT SINT GENERA PRINCIPATUUM ET QUIBUS MODIS ACQUIRANTUR
Quali siano i generi di principati e quali siano i modi di acquistarli
Brevissima introduzione che assomma i punti di cui tratterà l'opera: che i governi mai stati al mondo sono o repubbliche o principati. Che i principati possono essere nuovi o ereditati (ecc...).
Machiavelli, tra quelli nuovi del tutto, fa l'esempio degli Sforza a Milano e, tra quelli nuovi nati come membri di altri stati, il Regno di Napoli dipendente dalla corona spagnola.
II. DE PRINCIPATIBUS HEREDITARIIS
Sui principati ereditari
Machiavelli dice che gestire un principato ereditario è alquanto facile.
"se tale principe è di ordinaria industria",
in sostanza, ho commette qualche sciocchezza oppure deve amministrare soltanto quanto fatto dagli antenati
"perché basta solo non preterire gli ordini de' sua antinati".
Inoltre afferma che il popolo tende a dimenticare le proteste di un principe passato quando vi sia la "mutazione" con la successione di un altro.
III. DE PRINCIPATIBUS MIXTIS
Sui principati misti
"Ma nel principato nuovo consistono le difficultà".
Attenzione, qui Machiavelli introduce i primi elementi di asperrima polemica che diventeranno caratteristiche nell'opera.
" perché sempre, ancora che uno sia fortissimo in su li eserciti, ha bisogno del favore de' provinciali a entrare in una provincia. Per queste ragioni Luigi XII...".
La polemica è contro "queste populi che gli avevano aperte le porte (a Luigi XII)..." e che "trovandosi ingannati della opinione loro...".
La credulità del popolo milanese, che sarà poi del popolo italiano tutto.
Il capitolo, lungo, continua premettendo una differenza. Machiavelli dice, se uno vuole conquistare il principato di un altro essendo quel popolo della stessa sua lingua e degli stessi suoi costumi è abbastanza facile. E fa gli esempi della Borgogna, della Bretagna, della Guascogna e della Normandia (differenti di poco nella lingua ma identiche nei costumi).
Caso diverso è acquistare un principato il cui popolo ha lingua e costumi profondamente diversi.
Così torna ad analizzare le colpe di Luigi XII che aveva perduto e riacquistato Milano per due volte ma che aveva commesso una serie di errori.
(Nel mezzo fa una digressione sul modo di mantenere le nuove acquisizioni con "colonie" alla maniera dei Romani).
Se era stato aiutato da Veneziani a prendere Milano, perché mai ha aiutato il Papa a invadere la Romagna anziché aiutare i propri amici?
(Luigi XII)
"Aveva dunque fatto Luigi questi cinque errori: spenti e' minori potenti; accresciuto in Italia potenza a uno potente (il Papa); messo in quella uno forestiere potentissimo (la Spagna); non venuto ad abitarvi; non vi messo colonie".
Una bocciatura in toto.
Il finale di capitolo è altamente interessante: si accenna ad una discussione che Machiavelli ha avuto con il cardinale Roano a Nantes: dicendomi el cardinale di Roano che gli italiani non si intendevano della guerra, io gli risposi che' franzesi non si intendevano dello stato; perché, s'è se ne 'ntendessino, non lascerebbono venire in tanta grandezza la Chiesa".
Un'accusa precisa e una battuta che rinvendica l'orgoglio di italianità, da parte di Machiavelli.
Secondo aspetto, l'introduzione del personaggio del duca Valentino Cesare Borgia, figura che attirerà l'attenzione di Machiavelli nei capitoli successivi.
IV CUR DARII REGNUM QUOD ALEXANDER OCCUPAVERAT A SUCCESSORIBUS SUIS POST ALEXANDRI MORTEM NON DEFECIT
Come il regno di Dario, che Alessandro avevano occupato, non si disfece dai suoi successori dopo la morte di Alessandro
Capitolo storico che analizza la fortuna delle monarchie nate dai generali di Alessandro.
V. QUOMODO ADMINISTRANDAE SUNT CIVITATES VEL PRINCIPATUS QUI ANTE QUAM OCCUPARENTUR SUIS LEGIBUS VIVEBANT
In quale modo siano da amministrare le città o il principato che prima di essere occupati vivevano delle proprie leggi
VI DE PRINCIPATIBUS NOVIS QUI ARMIS PROPRIIS ET VIRTUTE ACQUIRUNTUR
Sui principati nuovi che con le armi proprie e con la virtù sono stati acquistati
VII. DE PRINCIPATIBUS NOVIS QUI ALIENIS ARMIS ET FORTUNA ACQUIRUNTUR
Sui principati nuovi che con le altrui armi e con la fortuna sono stati acquistati
VIII. DE HIS QUI PER SCELERA AD PRINCIPATUM PERVENERE
Di quelli che per la scelleratezza sono pervenuti al principato
IX. DE PRINCIPATU CIVILI
Sul principato civile
X. QUOMODO OMNIUM PRINCIPATUUM VIRES PERPENDI DEBEANT
In quale modo in ogni principato le forze debbano essere considerate
XI. DE PRINCIPATIBUS ECCLESIASTICIS
Sui principati eccelsiastici
XII. QUOT SUNT GENERA MILITIAE ET DE MERCENARIIS MILITIBUS
Quanti siano i generi della milizia e sulle milizie mercenarie
XIII. DE MILITIBUS AUXILIARIIS MIXTIS ET PROPRIIS
Sui militi ausiliari, sui misti e sui propri
XIV. QUOD PRINCIPEM DECEAT CIRCA MILITIAM
Quello che il principe necessiti circa la milizia
XV. DE HIS REBUS QUIBUS HOMINES ET PRAESERTIM PRINCIPES LAUDANTUR AUT VITUPERANTUR
Su quelle cose per le quali gli uomini, e massime i principi, sono lodati o vituperiati
XVI. DE LIBERALITATE E PARSIMONIA
Sulla liberalità e sulla parsimonia
XVII. DE CRUDELITATE ET PIETATE ET AN SIT MELIUS AMARI QUAM TIMERI VEL E CONTRA
Sulla crudeltà e sulla pietà e se sia meglio essere amato che essere temuto o il contrario
XVIII. QUOMODO FIDES A PRINCIBUS SIT SERVANDA
In quale modo la fede al principe sia conservata
XIX. DE CONTEMPTU ET ODIO FUGIENDO
Sulla contentezza e sul fuggire dall'odio
XX. AN ARCES ET MULTA ALIA QUAE QUOTIDIE A PRINCIBUS FIUNT UTILIA AN INUTILIA SINT
Se le fortezze e molte altre cose quotidiane da principi fatte siano utili o inutili
XXI. QUOD PRINCIPEM DECEAT UT EGREGIUS HABEATUR
Quello che pertenga il principe affinché abbia ad essere egregio (stimato)
XXII. DE HIS QUOS A SECRETIS PRINCIPES HABENT
Su coloro che come segretari i principi hanno
XXIII. QUOMODO ADULATORES SINT FUGIENDI
In quale modo gli siano fatti fuggire gli adulatori
XXIV. CUR ITALIAE PRINCIPES REGNUM AMISERUNT
Perché i principi d'Italia hanno perso il regno
XXV. QUANTUM FORTUNA IN REBUS HUMANIS POSSIT ET QUOMODO ILLI SIT OCCURENDUM
Quanto la fortuna possa nelle cose umane e in che modo a essa si resista
XXXI. EHORTARIO AD CAPESSANDAM ITALIAM IN LIBERTATEMQUE A BARBARIS VINDICANDAM
Esortazione a riprendere l'Italia in libertà e vendicarla dai Barbari