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L'eccezione Pier Paolo Pasolini


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In un'Italia post-fascista, in cui la contrapposizione era sempre più tra i moderati e i comunisti, coloro che volevano continuare nell'utopia della rivoluzione alla bolscevica, la normalità consisteva nell'appartenenza. L'appartenere o a DC o a PCI era al tempo stesso ruolo sociale e passaporto individuale per future carriere eccetera eccetera.

Poche sono state le eccezioni a questo modo di pensare, a questo schieramento dualistico, in cui ognuna della parti era il "bene" e l'altro il "male".

E anche tra le eccezioni, forse nessuno è stato così significativo e carismatico come Pier Paolo Pasolini.

Pasolini vive un'esistenza romanzesca (per sua stessa confessione - vedi l'introduzione "Al lettore nuovo" nel volume Poesie della Garzanti), al centro della quale mette il dovere civile di non appartenere, o meglio di appartenere agli emarginati o a coloro che la grande politica, la finanza, la raffinata aristocrazia e la rampante e spensierata borghesia non vedeva. Quella sorta di vivi-morti, di dimenticati, di "esiliati" alle porte di Roma che erano i borgatari. Roma, oggi ma più all'epoca, era circondata da grandi, affollate, misere, dimenticate borgate che facevano da contraltare, col loro degrado, alla Roma anni '50 di Vacanze Romane, dei monumenti, dei turisti e dei palazzi del potere.

Se il centro di Roma era abitato da nobili capitolini e sempre più da italiani di ogni regione che venivano a colonizzare la città o da famiglie borghesi, con un reddito certo, la televisione in casa e l'auto per le gite fuoriporta, le borgate erano sporche, malconce, luoghi della malavita, della prostituzione, del gioco d'azzardo e viverci equivaleva portare la condanna di una vita di stenti o di violenza.

Quando Pier Paolo, bolognese, friulano d'adozione, viene a contatto con questa miseria e con questa realtà (perché di realtà dobbiamo parlare, benché ad arte ignorata), beh, si passa una mano sulla coscienza.

Lo dice chiaramente, nell'Introduzione citata. Dice che quando si trasferisce, disoccupato, in una casa vicino Rebibbia,comincia a cambiare la sua poesia (Che in seguito definirà "vecchia poesia").

In quel contesto nascono capolavori poetici come Le ceneri di Gramsci e narrativi come Ragazzi di vita.

In particolare con la narrativa egli riesce a dare un taglio descrittivo forte, linguisticamente ma anche caratterialmente, a quei ragazzi che imparava a conoscere bene.

Da queste considerazioni, si può meglio capire il suo insistere sull'ottusità del perbenismo borghese o sull deriva del potere che riusciva a dimenticare tante famiglie e tanti ragazzi.

 

 

La poesia civile di Pasolini, dunque, rappresenta un'eccezionalità perché egli non vi è nato, ma, conosciuta quella condizione, vi ha aderito.

Stretto in una famiglia borghese, egli ha trovato il suo posto nel mondo tra i borgatari, si è scoperto uno di loro.

 

Pasolini si romanizza, diventa un borgataro e i borgatari sono i popolani delle sassaiolate, delle cortellate, dei ceffoni e degli sputi. I legionariacci di sempre. I Romani veri.

Con questa premessa, Pasolini si romanizza e si plebeizza allo stesso tempo, diventando così voce di quel popolo senza italiano, mente di quel gregge di ignoranti.

Diventa il reale poeta del popolo. Non è uno di quelli che canta il popolo dal salotto o che dal popolo è partito ma poi, finalmente, è arrivato... No! Pasolini è un Dante all'inferno. Scende tra gli ultimi!

Questo gesto è potente, tanto per il moralismo cattolico che per la prosopopea di partito, di un Pci sempre meno operaio e sempre più "televisivo".

Ce lo dice quel ritorno alle origini segnato da Le ceneri di Gramsci.

Il poemetto in questione è stato scritto già nel 1954.

Siamo poco dopo la guerra. Pasolini rende onore alla lapide sotto cui riposa il fondatore del Partito Comunista e la ritrova in periferia, a Porta San Paolo, luogo di acerrimi scontri tra la Resistenza romana e i tedeschi.

La canzone omaggia il celebre statista sardo seguendo una divisione schematica in parti:

I - Dopo un'apertura descrittiva, "non padre ma umile fratello" chiama Gramsci. La prima parte si chiude con un garzone nelle officine di Testaccio che picchia il martello.

II - Descrizione del cimitero e della fine di tutti, persino dei "miliardari".

III- Il ritrovamento tra "estranei morti" (Gramsci è infatti seppellito nel cimitero anglosassone.

Lo stile si fa vibrante di passione e di emozione. Sino a quando Pasolini non confessa un disagio.

IV - Il disagio è "lo scandalo del contraddirmi, dell'essere con te e contro te; con te nel cuore, in luce, contro te nelle viscere".

Come i poveri povero, mi attacco/ come loro a umilianti speranze,/ come loro per vivere mi batto/ ogni giorno.

 

V-Ancora sensazioni e percorso nella miseria attuale dell'Italia attraverso la veloce descrizione di più luoghi;

VI-Descrizione della vita dei giovani operai e chiusa.

"Ma io, con il cuore cosciente di chi soltanto nella storia ha vita, potrò mai più con pura passione operare, se so che la nostra storia è finita?".

La grandezza di questa chiusa sta nella data. Ribadisco, è il 1954. Il 1954! Pasolini già ritiene conclusa l'esperienza (la storia) dell'avventura comunista.

Lo storicismo marxista-gramsciano, di tempi che maturano verso la rivoluzione e la ribellione delle masse, è già concluso, secondo Pasolini. La storia gli darà ragione. Nonostante il '68. Nonostante lo stragismo. Nonostante le BR.

Aveva previsto come sarebbe andata. Questa elegia in memoria di Gramsci rappresenta, dunque, la delusione storica dinnanzi a fatti d'Italia che sono già determinati, che non muteranno.

Pasolini ne è conscio.