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Blog letterario

I centri culturali del Rinascimento - Venezia

Aldo Manuzio. Basterebbe il nome del più noto tipografo d'Italia, promotore dell'Accademia Aldina, per lasciare comprendere il ruolo che Venezia ebbe durante il Rinascimento.

Se Milano era un Ducato tirannico, i Savoia controllavano militarmente  il Piemonte, due repubbliche dovettero soccombere a Firenze al ritorno dei Medici, lo Stato della Chiesa era una Roma birbona e una massa di paeselli del centroitalia sepolti dal grigiore della mediocrità e ottenebrati dalla mano predace di un clero sempre pià corrotto, se Napoli era un regno illiberale, l'unico Stato italiano libero era Venezia.

A Venezia si stampava di tutto, quasi senza alcun pudore, in un'atmosfera che rendeva la città un baluardo per la libertà degli uomini tutti.

Pietro Bembo vi scrive e vi pubblica, Trissino vi agisce, l'Aretino vi trova rifugio alla sua vita scandalosa ed errabonda. L'Aretino che inventerà il mestiere del letterato che non vive di protezione del signore, come in tutto il Rinascimento, ma del proprio lavoro, dei propri scritti, diventando così un mercenario della penna. Mercenario della penna, sì, ma sempre meglio che della spada.

Il grande nemico dei poteri costituiti, fossero essi Papi, duchi, re ed eccetera eccetera, riuscì a premonizzare la letteratura moderna.

Venezia, anche politicamente, è stata essenziale per la stabilità dell'Italia anche all'indomani della Riforma di Lutero, la quale raggiunse la città che fu oggetto di blandizie e cura da parte dei Papi che non potevano più permettersi di avere nemici tra i confini nazionali.

Venezia perse la sua libertà molto tardi, ma la perse. Quando uno dei suoi nobili poté consegnare un ricercato al Papa.

Strano pensarlo ma è così, mentre ardeva sul patibolo Giordano Bruno, a Campo dei Fiori, in quel momento Venezia perse la sua innocenza e la sua tanto difesa e tanto onorata libertà.

E fu lì che buona parte degli slanci etico-morali del Rinascimento svanirono.

Di quella Venezia manteniamo il rimpianto, al pari dei tanti turisti che l'accalcano oggi come Durer secoli fa, rimanendo abbagliati da tanta bellezza e da tanta eterogeneità.

 



 

I centri culturali del Rinascimento - Mantova

Mantova e Sabbioneta sono patrimonio dell'Umanità, inseriti dall'Unesco tra i siti che ricoprono un'importanza capitale per l'intero genere umano.

Perché?

Per i Gonzaga che hanno ricostruito queste città con sapienza e bellezza, naturalmente usando quel tatto e quel gusto rinascimentale in voga all'epoca per disegnare ambienti, centri storici, ville di incantevole armonia.

Palazzo Thè è un esempio di questa predilezione per il tempo libero ed insieme per l'arte. Arte profana, arte mitologica di dei romani pagani. Messaggio politico chiarissimo per chi ne era ospite e doveva capire.

Il prestigio dei Gonzaga, guadagnato sul campo di guerra e in molti anni, si espresse decisamente quando si trattò di stabilire una corte che, nel mezzo tra il Ducato e la Serenissima, stabilisse rapporti di cordialità fra entrambe.

Bisogna girarla, Mantova, per capire con quale ratio sia stata trasferita l'idealità architettonica del tempo in una città.

Mantova che rimarrà viva culturalmente per tutto il Rinascimento e che si sveglierà già adulta, nel 1600, a far sorgere un nuovo genere destinato a cambiare di nuovo la storia mondiale dell'arte stessa: il melodramma.


 

 

I centri culturali del Rinascimento - Urbino

Urbino è un paesello appeso agli Appennini, nascosto tra una serie infinita di collinette, difficile da raggiungere e fredda d'inverno quando i Montefeltro ne diventano signori, l'abbelliscono e costruiscono quel Palazzo che sarà monumento di grandiosità per i venturi.

Ad Urbino si insedia, dunque, una corte raffinata che sarà ambientazione per Il cortegiano di Baldassare Castiglione, vero best seller del Cinquecento.

La politica culturale dei Montefeltro, però, non può prescindere dal più grande nato nel piccolo paesello marchigiano, Raffaello Sanzio. Raffaello è giovanissimo quando già incanta tutti con il suo talento. Giovanissimo si trasferisce a Roma ed entra a far parte della corte papale. Giovanissimo morrà. Urbino sarà indissolubilmente legata a quel giovane genio dell'arte che ci ha lasciato capolavori immensi e il suo desiderio di essere libero.

 

Il problema che Urbino rappresenterà nell'Italia Quattrocinquecentesca è, dunque, il seguente:

come ha potuto un paese molto piccolo, di provincia, molto periferico, che ha subito lasciato partire l'unico genio che sino a quel momento v'era nato, a diventare una capitale culturale del Rinascimento?

I Montefeltro sono stati degli oculati politici, innanzitutto, e non solo hanno saputo valorizzare sé stessi ed il proprio territorio, ma hanno anche saputo comprendere la portata storica del momento che richiedeva più che la guerra con le armi uno scontro culturale che sarebbe probabilmente sopravvissuto a testimonianza di quel rinnovato sentimento di considerazione dell'uomo per se stesso che sarebbe stata decifrata dall'arte.

Non si dimentichi che la grazia di cui parla Il cortegiano è lo stesso medesimo principio che anima La città ideale.

Federico da Montefeltro era riuscito a fare della sua corte un cosmo artistico in cui gravitavano Piero della Francesca, Paolo Uccello, Giusto di Gand, Pedro Berruguete, ma anche architetti come Luciano Laurana e matematici come Luca Pacioli.

 

Politicamente una spiegazione al prestigio crescente di Urbino alla fine del Quattrocento si spiega con la mossa papale di volere creare un ducato potente a metà strada tra Bologna e Firenze in modo da potere avere l'occasione di intervenire più direttamente nelle guerre italiane che si andavano profilando e che si sarebbe scatenate alla morte del Magnifico.

Un altro dato ci fa comprendere l'importanza di Urbino come Stato acquisito con l'aiuto di altri, direbbe Machiavelli. Che Federico Montefeltro è stato un grande capitano di ventura. Che, dunque, i capitani di ventura divenivano, in quel tempo, anche se in casi rari, addirittura dei duchi, dei mecenati, dei signori.

Questo per dire che la storia politico-culturale del Rinascimento è stata quel golpe, quel ritorno al passato, quella militarizzazione dell'arte alla quale i bravi geni hanno saputo scivolare con opere che omaggiano i padroni definendone tutti i limiti come uomini (cfr. I centri culturali del Rinascimento Introduzione e Roma, Firenze, Ferrara).

 



 

I centri culturali del Rinascimento - Ferrara

FERRARA


Una città così piccola e così defilata è, assieme ad Urbino, il miracolo più evidente del Rinascimento, il quale è tempo di provincia e di provinciali, è tempo di distribuzione dell'arte e degli artisti.

Alla corte degli Este gravitano alcune interessanti figure di letterati: Matteo Maria Boiardo, Ludovico Ariosto e Torquato Tasso.

A voler giudicare sommariamente si potrà pensare Ferrara una corte retrograda e i suoi poeti degli epigoni stanchi di un genere che con una certa sobrietà si portava dietro i suoi quattrocento anni.

Cosa che se è vera la prima e falsissima la seconda. In effetti gli Estensi, come famiglia e come padroni, non furono dei sovrani illuminati ma furono dei sovrani che usarono biecamente la cultura per rafforzare il proprio prestigio. D'altronde erano circondati da famiglie non migliori di loro, i Malatesta a Rimini, i Bentivoglio a Bologna, e nonostante la vicinanza prossima con la libera Venezia, non ne respirarono l'ardore libertario ma anzi cercarono di ricacciarne il germe con il più scontato dei mezzi, il genere cavalleresco.

Chiedere a Boiardo un nuovo poema sui cavalieri equivaleva a chiedergli di ricopiare e tagliare parti da Omero e Virgilio, dalla Chanson e dai cantari. Boiardo, però, per primo, in quella corte, arguisce che rifare il solito sarebbe equivalso a diventare l'ennesimo nessuno che il tempo avrebbe indefessamente cancellato.

Così prese un argomento secondario del poema e lo elesse a coprotagonista dell'opera.

Non più, dunque, solo il cavaliere in cerca di gloria, che difende il Re e Dio, che aiuta i deboli, che combatte contro i villani e le soverchierie, ma un cavaliere innamorato. E che cavaliere, quell'Orlando divenuto per secoli simbolo potente di abnegazione, primo esempio di come un cavaliere debba comportarsi e debba comportarsi una corte. Poeti compresi.

Boiardo, alfine di differenziarsi, proietta nell'introspezione di un Orlando che si scopre innamorato, tutta la materia lirica di cui la tradizione italiana è capace. Mischia, inventa, sperimenta. Più che un Chretien de Troyes è un Dante, più che un cavaliere descrive un uomo, più che la guerra, per la prima volta, descrive l'amore di un guerriero.

Se questo non è un monumento al pacifismo...

Orlando innamorato non rinuncia, come avrebbe potuto, alle scene militari classiche né a quegli stereotipi che facevano del cavaliere il cavaliere, ma li attenua al punto che senza Boiardo non avremmo avuto Ariosto.


Ariosto continua la sperimentazione di Boiardo e la porta a livelli artistici elevatissimi, con le tecniche narrative, con l'io narrante, con l'invasione di campo di magia, stregoneria, fantascienza e fantasia che rendono le scene sempre più vivide e sempre meno cavalleresche.

I cavalieri di Ariosto sono ormai ben altro che la cavalleria di cui gli Este avevano idea, quella che decideva le frequenti guerre, quella che nel Quattrocento era divenuta un mestiere, il mestiere delle armi appunto, ed era passata ad essere merce.

Proprio contro quei valori antichi di guerra degradati a commercio, proprio contro la cavalleria antica e moderna, quella delle Compagnie di ventura, dei mercanari che avevano e avrebbero piegato l'Italia ancora per molto tempo, Orlando sarà innamorato e furioso.


La serie di sperimentazioni e di virtuosismo si chiude, sul finire del Rinascimento e già con qualche podromo del Manierismo, con quella che, a torto, i poco attenti studiosi italiani hanno giudicato e giudicano come un ritorno all'ordine di quel pazzo del Tasso. Rendendo poca giustizia ad un uomo che, se si permette, era già dai contemporanei giudicato grande poeta, lo dimostra il progetto di incoronazione poetica a Roma che era prossimo a venire quando la morte colpì Torquato, e l'enfasi che sulla Gerusalemme si ebbe.

Non fors'altro che il grande e attento lavoro condotto dal sorrentino sull'opera, generata prima in Rinaldo fino alla sofferta realizzazione finale, e il sottoporre per puri scrupoli religiosi l'opera al vaglio della Santa Inquisizione, perché non vi fossero scritte eresie, ci dice un paio di cose di Tasso che non sono state capite.


1. Che se uno chiama il medico si accorge di avere bisogno del medico. Ergo, non è pazzo.

Vero è che le manie di cui Tasso era affetto erano momenti, stadi, fasi transitorie, ma questo limiterebbe di molto la nota e poco onorevole etichettatura di cui il poeta estense viene fatto oggetto. (Giacomo Leopardi non lo riteneva uno dei più grandi?, se volessimo cercare una voce fuori dal coro della critica letteraria...).

2. Che se vuoi nascondere qualcosa devi metterla in mostra, così facendo non solo Tasso autoproclamava che la sua opera era del tutto inedita ma che il suo potenziale era destinato a far vacillare ancora più la fragile equivalenza cavaliere-guerra, mecenate-scrittore.


Se ad un primo vaglio, infine, Ferrara era la corte più retrograda tra quelle promotrici di cultura (culturalmente parlando), non lo furono affatto i suoi artisti che in tre opere chiusero in maniera elegante ma energica la figura del cavaliere e i tempi andati a cui essa si rifaceva, aprendo un'epoca diversa per la storia letteraria mondiale, che avrebbe portato conseguenze di cui parlaremo diffusamente più oltre, iniziando da un chiaro segno pacifista. Basta con le guerre!

 

 

ARIOSTO

Ariosto e Tasso poi cercheranno spazi azzurri di libertà al di là del volere e della consapevolezza degli Este.

Se da un lato li celebreranno, almeno in superficie, dall'altra ne scalfiranno la gloria in modo imperituro.

Ariosto capovolge i valori dell'epica classica sin dal primo verso, sin dalla prima parola: le donne.

Le donne anteposte ai cavalieri proprio come egli antepone l'amore per la sua donna (strofa seconda) alla celebrazione degli Este. La scusa è il paragone tra l'amore che ha fatto perdere e ammattire Orlando e quello suo, quasi pari.

Questa anteposizione sia ben il primo indizio di una libertà dalla tradizione che è libertà dal potere.

Nella terza e quarta strofa poi v'è il consueto omaggio ai signori.

"Erculea prole" "Ruggier" sono gli elementi che debbono attrarci. S'era sparsa la voce che gli Este discendessero da Gano da Magonza, cosa che non doveva proprio piacere alla corte ferrarese.

Così già Boiardo li aveva nobilitati facendoli discendere da un cavaliere valoroso di Carlo Magno, Ariosto ripropone l'artificio (Ruggiero viene ad essere un capostipite mitico) ma aggiunge quello che la politica culturale degli Este voleva, che la propria discendenza venisse da un uomo-dio dell'antichità, Ercole.

Ariosto li accontenta, ma sentite quel verso immediatamente successivo come suona "ornamento e splendor del secol nostro". Qui sta tutto il tragico di una esagerazione, di un pleonasmo, di una caricatura che diventa satira. E Satire, ti ricorderai, amico lettore, Ariosto ne aveva ben scritte. Se ce lo immaginassimo attore comico a dire questo su un palcoscenico con i modi alla Petrolini, farebbe certamente ridere. Ricorda, altro momento storico, altro carattere, il Giacomo Leopardi della Palinodia.


 


 

 

Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l’ire e i giovenil furori
d’Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.


Dirò d’Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai, né in rima:
che per amor venne in furore e matto,
d’uom che sì saggio era stimato prima;
se da colei che tal quasi m’ha fatto,
che ‘l poco ingegno ad or ad or mi lima,
me ne sarà però tanto concesso,
che mi basti a finir quanto ho promesso.


Piacciavi, generosa Erculea prole,
ornamento e splendor del secol nostro,
Ippolito, aggradir questo che vuole
e darvi sol può l’umil servo vostro.
Quel ch’io vi debbo, posso di parole
pagare in parte e d’opera d’inchiostro;
né che poco io vi dia da imputar sono,
che quanto io posso dar, tutto vi dono.


Voi sentirete fra i più degni eroi,
che nominar con laude m’apparecchio,
ricordar quel Ruggier, che fu di voi
e de’ vostri avi illustri il ceppo vecchio.
L’alto valore e’ chiari gesti suoi
vi farò udir, se voi mi date orecchio,
e vostri alti pensieri cedino un poco,
sì che tra lor miei versi abbiano loco.

 

 

 

 

Due verbi, poi, a chiarire la polemica rispetto alla perdita di libertà e di dignità degli artisti, Ariosto li ha cesellati nei suoi immortali versi: "piacciavi" e "pagare".

Il piacere del signore come condizione necessaria all'arte. Soddisfare un padrone, dare un padrone all'arte non è già più arte. Sembra stridere questo verbo con il senso anche della canzone di gesta, pretesto all'opera, o con il protagonista dell'opera stessa, l'amore.

Piacciavi, poi ripreso dal "aggradir"anche qui in un gioco di echi che sollecita il pensiero di un'astrazione ariostesca rispetto alla vita da scrittore prezzolato e adulatore, come molti lo erano nella corte.

Perché il piacere eventualmente prodotto non è frutto di amicizia o disinteresse ma di un pagamento del debito (quanto ho promesso).

Dice, infatti, "posso di parole/ pagare in parte e d'opera d'inchiostro".

Il pagare rima anche qui con ennesimo gioco di richiami con l' "imputar" di qualche verso sotto.

Come se dicesse, Ludovico, "mi avete fatto pressione, mi avete richiesto quest'opera...".

Ornamento e splendor del secol nostro contro l'umil servo vostro. Ai nobili è sempre piaciuta la celebrazione. I nobili sono, quando più seri e quando meno, il Marchese del Grillo che recita "Io so io e voi nun sete un ...".

Perciò l'umiltà di Ariosto diventa un celebrazione dell'artista contro il gigantismo politico delle signorie dell'epoca.

Concetto forse permeato dai Vangeli, quello dell'umiltà, forse dalla ricca tradizione di coloro che celebrando i propri signori chinavano la cervice. Ariosto però non è di questi, sembra che celebri e condanna, sembra che serva e discredita.

Ad Ariosto dobbiamo questo capolavoro di fantasiosa ed elegante bizzarria che caratterizza tutto il Furioso e ne fa un'opera senza tempo.

D'altronde ci saremmo dimenticati degli Este senza Ariosto... e senza Tasso.

Anche Tasso, nel suo incipit, dipinge una signoria con parole così tronfie e caduche da indurci a riflettere.

 

 

 

TORQUATO TASSO

 

 

Tasso, come se fosse semplice, amplifica la lode di Alfonso II d'Este e quindi amplifica la satira contro di lui.

Le strofe quarta e quinta sono dedicata al suo signore, padrone, sovvenzionatore (oggi diremmo sponsor).

Ripeto, non c'è spontaneità in questi elogi ma eccesso, goffaggine. Sembrano ottave di Pulci più che di un poema cavalleresco.


 

Tu magnanimo Alfonso, il qual ritogli
Al furor di fortuna, e guidi in porto
Me peregrino errante, e fra gli scoglj,
E fra l’onde agitato, e quasi assorto;
Queste mie carte in lieta fronte accogli,
Che quasi in voto a te sacrate i’ porto.
Forse un dì fia, che la presaga penna
Osi scriver di te quel ch’or n’accenna.

 

Guida al poeta, nemmeno forse un Virgilio, Alfonso è descritto come un Augusto, come un dio (che quasi in voto a te sacrate i' porto).

Addirittura la presaga penna oserà scrivere di lui.

Osare ha osato, ma volendo ben dire altro che quella celebrazione che il signore sperava e credeva.

 


È ben ragion, (s’egli averrà ch’in pace
Il buon popol di Cristo unqua si veda,
E con navi e cavalli al fero Trace
Cerchi ritor la grande ingiusta preda,)
Ch’a te lo scettro in terra o, se ti piace
L’alto imperio de’ mari a te conceda.
Emulo di Goffredo, i nostri carmi
Intanto ascolta, e t’apparecchia a l’armi.

 

Augura ad Alfonso "lo scettro in terra... l'alto imperio de' mari...".

Tasso fa maggiore manifezione di cristianesimo nelle sue opere che Ariosto. Proprio la sua proverbiale fede, la sua devozione di ammattito, sembra stonare con la teofania di Alfonso.

Emulo di Goffredo (di Buglione), gli augura una nuova crociata per liberare ancora una volta Gerusalemme e "t'apparecchia a l'armi".

Un invito alla guerra, se non si sapesse il pacifismo di Tasso durante l'opera, l'amore di Tancredi e Clorinda, la fine pietosa della Gerusalemme.

Quell'invito alle armi non è un richiamo militare ma morale. Goffredo non ha vinto in quanto il più forte ma in quanto il più giusto. Una persona che non fa strage di nemici ma cerca di vincere le battaglie. Un uomo che, idealizzato, sarebbe dovuto diventare, per Tasso, una sorta di prototipo del cavaliere di una volta, come non ce ne era più.

Si ricordi che Tasso scrive dopo la battaglia di Lepanto, quando già i Musulmani avevano circondato d'assedio Vienna.

Eppure per loro non ha parole di odio. Li crede in errore, ma non indulge alla propaganda politica.

Tanto da invitare Alfonso a far ciò che voglia, purché imiti Goffredo. Non inventa un mitico progenitore anche nella Prima Crociata, per gli Este, ma indica in un cavaliere leale la stella polare.

Cosa che non avverrà, come noto.

 

Dunque, in definitiva, Ariosto e Tasso denunciano la condizione del poeta del Quattrocento e del Cinquecento ma sanno anche mandare ai posteri un messaggio di coraggio e di voglia di pace che dovesse servire da monito a storie, come quelle di Ruggiero e di Goffredo, alla pace del futuro.

La loro lezione è ancora oggi viva quando li ascoltiamo parlare, leggendo quei versi immortali.

Anche oggi il nostro desiderio di pace ritorna al pensiero che nella corte di Ferrara, tra il Quattrocento ed il Cinquecento, si poteva anche pagare un poeta perché celebrasse la propria famiglia ma se si restava ignoranti da non capirne la portata delle rime e l'ironia e la satira sottese ai loro versi si lasciava ai posteri un'immagine di sé molto diversa da quello che si diceva in superficie. La superficialità del ricco che compra l'arte è valida in ogni tempo e in ogni tempo l'artista può e sa prendersi gioco di chi ha potere per decidere ma non intelligenza per capire.

 

 

 

FERRARA



Such a small town and so it is a tight, together with Urbino, the most notable sign of the Renaissance, which is a provincial time and provincial, is the distribution time art and artists.

The court of the Este gravitate some interesting figures of writers: Matteo Maria Boiardo, Ludovico Ariosto and Torquato Tasso.

To want to judge summarily, you can consider a retrograde Ferrara court and its poets of the followers of a tired genre with a certain restraint was carrying his four hundred years.

What if it is true that the first and the second quite false. In the Este effects, as families, as hosts, they were not of the enlightened rulers but were the sovereigns who used grimly culture to enhance their prestige. Moreover, they were surrounded by families no better than them, the Malatesta in Rimini, the Bentivoglio in Bologna, and despite the next proximity to the free Venice, not breathed the libertarian ardor but rather tried to ricacciarne the germ with the most obvious the means, the kind of chivalry.

Ask Boiardo a new poem on knights she was tantamount to asking him to copy and cut pieces from Homer and Virgil, the Chanson and cantari. Boyar, however, first, in that court, argues that redo the usually would be tantamount to becoming yet another nobody that time would tirelessly deleted.

So he took a secondary topic of the poem and elected him to co-star of the work.

No longer, therefore, only the rider in search of glory, who defends the King and God, who helps the weak, who fights against villains and soverchierie, but a lover knight.And that knight, quell'Orlando became for centuries a powerful symbol of self-sacrifice, the first example of how a knight should behave and should behave a court. Including poets.

Boyar, at last to differentiate, projecting introspection of an Orlando who discovers love, all the matter of which the Italian opera tradition is capable of. Fray, invents, experiences. More than a Chretien de Troyes is a Dante, more than a knight depicts a man, rather than the war, for the first time, describes the love of a warrior.

If this is not a monument to pacifism ...

Orlando does not give up love, how could the classical military scenes or to those stereotypes that made the knight the knight, but reduces them to the point that we would not have had without Boiardo Ariosto.



Ariosto continued testing of Boiardo and leads to very high artistic level, with the narrative techniques, with the narrator, with the invasion of the field of magic, sorcery, science fiction and fantasy that make the scenes more vivid and less chivalrous .

The knights of Ariosto are now much more than the cavalry which the Este family had no idea, the one that decided the frequent wars, one that in the fifteenth century had become a profession, the profession of arms in fact, and was gone to be goods.

Precisely against those ancient values ​​of degraded trade war, right up against the ancient and modern cavalry, one of the mercenary companies, the mercanari they had and would have folded Italy for a long time, Orlando will be in love and furious.



The series of experiments and virtuosity closes, at the end of the Renaissance and already with some podromo of Mannerism, with those who, rightly, the careless Italian scholars have judged and judged as a return to the order of that crazy rate. Making little justice to a man who, if you allow, was already by his contemporaries judged the great poet, it is shown by the coronation poetic project in Rome that it was next to come when death struck Torquato, and the emphasis on Jerusalem occurred.

Not fors'altro whom the great and careful work on the work conducted by Sorrentino, generated first in Rinaldo until the painful final implementation, and submit to pure religious scruples the work under review by the Holy Inquisition, because there were written heresies, He tells us a few things that have not been capita rate.



1. What if one calls the doctor you realize you have need of a physician. Ergo, it is not crazy.

It is true that the obsessions of which Tasso was suffering were moments, stages, transitional stages, but this will limit much the note and dishonorable labeling required by the Este poet is made the object. (Giacomo Leopardi he not considered one of the greatest ?, if we wanted to search for an entry out of the literary criticism chorus ...).

2. What if you want to hide something you have to put it on display, doing so not only proclaimed himself Tasso that his work was completely new but that his potential was intended to chip away even more the fragile knight-war equivalence, patron-writer.



If initially screened, finally, Ferrara was the most retrograde court among those promoters of culture (culturally speaking), it was not at all its artists that works in three closed gracefully but energetic figure of the knight and the old days in which it advocated opening a different era for the world's literary history, which would bring consequences that parlaremo widely beyond, starting with a clear anti-war sign. No more wars!





ARIOSTO

Ariosto and Tasso then try blue spaces of freedom beyond the will and consciousness of Este.

While celebrating them, at least on the surface, on the other they scalfiranno glory in imperishable way.

Ariosto overturns the classical epic values ​​from the first verse, from the first word: women.

Women prefixed with their knights as he puts his love for his woman (second verse) to the celebration of the Este. The excuse is the comparison between the love he did lose and mad Orlando and that its almost equal.

This is well anteposition the first indication of a freedom from tradition which is freedom from power.

In the third and fourth verse then there is the usual tribute to the lords.

"Herculean offspring" "Rogero" are the elements that should attract us. She had spread the rumor that the Este descended from Gano from Mainz, which had not exactly please the court of Ferrara.

So already Boiardo had ennobled them by making them descend from a valiant knight of Charlemagne, Ariosto proposes artifice (Ruggiero comes to being a mythical ancestor), but adds that the cultural policy of the Este wanted, that their descendants were to be a man- god of antiquity, Hercules.

Ariosto them satisfied, but feel that the next verse immediately as it sounds "ornament and splendor of our age". Here lies the whole tragedy of an exaggeration, a pleonasm, a caricature that becomes satire. And Satire, you will remember, dear reader, Ariosto had written well. If we were to imagine the comic actor to say this on a stage with ways to Petrolini, would certainly laugh. Remember, another historic moment, another character, Giacomo Leopardi of Palinodia.











Women, the knights, the arms, the loves,
the courtesies, the daring feats I sing,
Who were infected at the time that the Moors passaro
African sea, and France nocquer much,
following the ire and the youthful fury
Agramante of their king, who gave glory
to avenge the death of Troiano
over King Charles Roman Emperor.


I tell d'Orlando in selfsame tract
What unspoken never in prose or rhyme:
that love was furious and mad,
the man so wise that was estimated earlier;
if on the one who so nearly made me,
that 's a little wit or to me or to file,
I will, however, so granted,
I need only to finish what I have promised.


It please you, generous Erculea offspring,
ornament and splendor of our age,
Ippolito, aggradir that what you want
and the sol can give your humble servant.
What I owe you, I can of words
pay in part and ink work;
or that little I give you from imputar are,
that what I can give, I give you everything.


You will feel among the most worthy heroes,
that nominar with laude address me,
remember that Rogero, who was one of you
and de 'your illustrious ancestors the old stump.
The high value and 'clear his gestures
I will make you hear, if you ear me dates,
and your high thoughts cedino a little,
so that between them they have my verses site.









Two verbs, then, to clarify the controversy than the loss of freedom and dignity of the artists, Ariosto has chiseled them in his immortal lines: "may it please" and "pay."

The pleasure of the lord as a necessary condition to the art. Meet a boss, give a master to art is already no longer art. It seems screeching this verb with the sense also of deeds song, opera pretext, or the protagonist of the work, love.

It please you, then taken up by the "aggradir" even here in a game of echoes that urges the thought of abstraction Ariosto than the life of a hired writer and flatterer, as many were in the court.

Possibly because the product pleasure is not the fruit of friendship, or lack of interest, but a payment of debt (as I promised).

He says, in fact, "I can of words / pay in part and ink work."

The pay rhyme again with yet another game with the appeals' "imputar" of a few verses below.

As if to say, Ludovico, "have been pushing me, I'm asking for this work ...".

Ornament and splendor of our age against your humble servant. The nobles have always liked the celebration. The nobles are, when more serious and when not, the Marchese del Grillo which reads, "I know you and I a nun thirst ...".

Therefore humility Ariosto becomes a celebration of the artist against the political gigantism of the noble age.

Concept perhaps permeated by the Gospels, that of humility, perhaps from the rich tradition of those celebrating their lords bowed their cervix. But Ariosto is not of these, it seems that celebrates and condemns, seems to serve and discredits.


Ariosto we have this masterpiece of imaginative and elegant eccentricity that characterizes all the Furious and makes a work timeless.

Besides, we would have forgotten the Este ... no Ariosto and Tasso no.

Even Tasso, in his opening words, he paints a lordship with words so pompous and perishable to make us reflect.







Torquato Tasso





Rate, as if it were easy, amplifies the praise of Alfonso II d'Este and then amplifies the satire against him.

The fourth and fifth stanzas are devoted to his master, master, subsidizer (today we would say sponsors).

I repeat, there is no spontaneity in these eulogies but excess, clumsiness. Fleas seem octaves of more than a chivalrous poem.





You magnanimous Alfonso, whom ritogli
To the fury of luck, and guide into port
Me wandering pilgrim, and among scoglj,
And among the rough waves, and almost absorbed;
These cards in my happy face, accept,
That almost in the vote to you Socrates' harbor.
Maybe one day fia, that foreboding pen
Osi will write about you that which now n'accenna.



Guide to the poet, perhaps even a Virgil, Alfonso is described as an Augustus as a god (which almost vow to you the Socrates' port).

Even foreboding pen dare write about him.

Dare dared, but wanting to be said other than that celebration hoped and believed that the gentleman.




It is well Reason, (if he ch'in A will be peace
The good people! Christ unqua see,
And with ships and horses fierce Trace
RETURNING circles the great unjust prey)
Thee I scepter in the ground or, if you like
The High Empire of 'seas to you grant.
Rival of Geoffrey, our poems
Meanwhile, listen, and t'apparecchia to the weapons.



He hopes to Alfonso "the scepter on the ground ... the high Empire of 'seas ...".

Rate is greater than Christianity manifezione in his works that Ariosto. Just his proverbial faith, his devotion gone mad, it seems out of tune with the theophany of Alfonso.

Rival of Goffredo (of Bouillon), wishes him a new crusade to liberate Jerusalem once again "t'apparecchia to the weapons."

An invitation to war, if you do not know pacifism of rate during the work, the love of Tancred and Clorinda, the pitiful end of Jerusalem.

That invitation to arms is not a military but a moral booster. Godfrey did not win as the strongest, but as the most fair. A person who does massacre of enemies but try to win the battles. A man, idealized, should have become, for Tasso, a kind of prototype of the knight of the past, as there was more.

Remember that Tasso wrote after the battle of Lepanto, when the Muslims had already surrounded besieged Vienna.

Yet for them has no words of hate. Li believes in error, but does not indulge in political propaganda.

Much to expect Alfonso to do what he wants, provided that imitate Goffredo. It does not invent a mythical ancestor also in the First Crusade, for Este, but give a loyal knight the North Star.

Something that will not happen, as you know.



So, ultimately, Ariosto and Tasso denouncing the condition of the poet of the fifteenth and sixteenth centuries, but they also know how to posterity send a message of courage and desire for peace that should serve as a warning to stories, like those of Roger and Godfrey, the peace of the future.

Their lesson is still alive today when we hear them speaking, reading those immortal lines.

Today also our desire for peace back to the thought that in the court of Ferrara, between the fifteenth and the sixteenth century, you could also pay a celebrated poet because his family but if you remained ignorant as not to understand the scope of the rhymes and irony and underlying satire to their verse was left to posterity a self-image very different from what was said at the surface. The superficiality of the rich buying art is valid in all times and in every time the artist can and knows how to make fun of those who have power to decide but not intelligence to understand.


 

I centri culturali del Rinascimento - Firenze

FIRENZE


Dei tanti artisti che il Rinascimento ha avuto, una buona parte è toscana e di questi una buona parte fiorentina. Michelangelo Buonarroti, Donatello, Brunelleschi per citarne alcuni.

Perché Firenze? Per la libertà. Si sa bene come già l'aretino Francesco Petrarca contrapponesse Firenze, con il suo idealismo di città libera, a Milano, cupa città dittatoriale.

Però la libertà dell'inizio Quattrocento andò via via dissipandosi, fino a non rimanere che uno sbiadito e stinto ricordo ben presto.

Se la politica di Cosimo I fu liberticida e lo fu, con modi diversi e più raffinati, quella italiana del Magnifico, perché egli portò Firenze al palcoscenico Italia per la prima volta accordando le proprie scelte culturali con quelle politiche, sarà per dare alla città quel tono solenne e incantato che oggi le riconosciamo.

La Firenze tra Quattro e Cinquecento intreccia la sua storia con la storia delle faide di famiglia che aveva sempre insanguinato la città, Dante ne era stato un inorridito spettatore-avversario. La famiglia dei Medici, con mezzi anche poco ortodossi, molte volte fatta oggetto di attentati, una volta preso il potere Lorenzo il Magnifico, che aveva sospeso l'umanesimo di Coluccio Salutati, Leonardo Bruni, Flavio Biondo, era la protagonista assoluta della scena.

Cosimo I aveva prima trasformato l'Accademia degli Umidi in Accedemia Fiorentina e poi ne aveva spostato la sede, guarda caso, nel suo palazzo. Questo controllo che il signore della città rinascimentale (e Firenze non fa eccezione) doveva avvenire con discrezione, persino con abbondanza di stile e gran copia di arte. Il mecenate donava arte ai cittadini e protezione agli artisti e in cambio chiedeva loro libertà. Questo gioco politico è stato, più che altrove, drammatico proprio a Firenze.

Firenze che piange nel 1492 la morte di Lorenzo il Magnifico (il prestigio della sua corte aveva allargato l'orizzonte letterario della lingua fiorentina fuori Firenze) è la stessa città che due anni dopo deve subire l'umiliazione del passaggio di un re straniero nelle sue mura, l'ambiguo Carlo VIII di Francia, ed è la stessa che sostiene la Repubblica di Gerolamo Savonarola, dal 1494 al 1498.

Firenze è la stessa Firenze che nel 1522 organizza un attentato contro il nipote di Lorenzo il Magnifico, e suo successore come padrone della città, quel Giulio de' Medici già arcivescovo, già protetto dal cugino, il papa Leone X - figlio di Lorenzo il Magnifico -, che colse l'occasione, sventata la manovra, di chiudere l'Accademia fiorentina di cui alcuni elementi del golpe facevano parte. Tra essi anche Machiavelli, segretario di Stato accusato di avere cospirato per l'instaurazione di una Repubblica.

 



Eppure Firenze era stata la culla del Rinascimento.

L'impegno civile di umanisti come Salutati, Biondo e Bruni, la loro riscoperta dei classici, l'entusiasmo per la scoperta dell'uomo, scoperta intesa come sua nuova definizione come soggetto creatore e dalle infinitive potenzialità, aveva scaldato un ambiente che con il Verrocchio e da Vinci, con Michelangelo, Donatello e Brunelleschi, con il Burchiello, il Pulci, l'Aretino, con Machiavelli e Guicciardini e con tanti altri aveva splesso di luce propria, aveva portato una nuova e straordinaria aria di novità sulle orme del Trecento e dell'Antica Roma ma che ben presto avrebbe elucubrato proprie vie alla bellezza e all'armonia.

Bellezza e armonia, lo ripetiamo, che se nate come ideali artistici, divennero poi una scuola, il classicismo, che divenne un mezzo politico di adesione al potere costituito nelle corti.

La corte divenne uno strumento di propaganda culturale dei potenti.

Al classicismo filogovernativo si oppose ben presto l'anticlassicismo, come dicevamo.

A Firenze l'anticlassicismo nella storiografia era rappresentato da Machiavelli, che non a caso dedicava l'opera ad un Medici ma si guardava bene dall'indicarli come esempio virtuoso di Principe da seguire, e Guicciardini, che nella sua malinconica riflessione su una storia ingovernabile, vedeva sempre soccombere i più deboli contro i più forti, in una sorta di inevitabilità sia del governo dei forti sia della sedizione dei deboli.

La corte di Firenze, inoltre, leggeva gli improbabili intrecci del Pulci e del suo Morgante, in una sorta di compensazione comica del non più proponibile modello cavalleresco (anche l'Ariosto e il Tasso degraderanno la materia sebbene in forme sublimi).

Questa corte, quindi, aveva la responsabilità morale del primato nella questione della lingua.

Note le posizioni:

Bembo era per parlare il fiorentino di Petrarca e Boccaccio.

Machiavelli era per parlare il fiorentino vivo, il fiorentino della Firenze del 1500.

Gian Giorgio Trissino, con Il castellano, e Baldassar Castiglione, con Il cortegiano, erano per parlare la lingua delle corti.

Proprio Trissino e Castiglione, nel loro eccessivo servilismo ad un potere costituito che si rinchiudeva sempre più e che poneva differenza tra la sua lingua e quella del popolo, tra le sue sacre rappresentazioni e le farse e le commedie dei poveri, sarebbero usciti sconfitti per primi.

E la questione della lingua dovrà avere un'altra opera a riferimento e un altro autore, un milanese, a difendere la maestà della parlata fiorentina.

Anche il petrarchismo, in questo, contribuisce nella disputa. Sarà anche classicismo di un modello poi preso da Bembo a idealizzazione linguistica e da altri a fabbro del parlare italiano per stile e convenienza, ma il petrarchismo è fenomeno più complesso di una mera imitazione: si potrebbe dire che Petrarca è il primo autore studiato, imitato e accettato da tutta Italia come metro didattico. Se Dante era ammirato ma in certa maniera illeggibile, almeno nelle sue profondità e in alcuni passi, ad un pubblico non territoriale, Petrarca, con il suo unilinguismo era il perfetto manuale di italiano del Quattro e Cinquecento.

Dal petrarchismo si avranno le prime Gaspara Stampa, i primi petrarchini. Francesco Petrarca diverrà una moda, un simbolo. E anche grazie a lui il prestigio di questo dialetto così fine e curato, così ricco di francesismi e così vocalico, assurgerà un giorno a dignità di lingua nazionale.

 

 


Se si pensa dunque che Aretino vivrà tra Roma e Venezia, il Burchiello verrà allontanato e morrà povero a Roma, Machiavelli e Guicciardini saranno depotenziati e lasciati a riposo dalla politica per molto tempo, si ha un primo ben definito quadro di come allo splendore di un'arte sopraffina corrisponda una chiusura politica interessante. Chiusura parziale, tentativo poco riuscito di fare del Rinascimento un Altomedioevo politico.

Di lì a poco Firenze troverà lo sconvolgimento di un Galileo Galilei e un Settecento necessariamente riformatore a preparare l'atto finale della sua liberazione.

Sarà un percorso lungo, non a caso iniziato con la stretta che i Medici applicarono sulla città, ma sarà un percorso inesorabile, al quale dovrà tanto anche il tentativo di questi uomini, di questi paladini del bene comune della libertà a far parte di un tempo reo, come il Cinquecento, nel quale seppero immortalare in scritti e marmi, cappelle e commedie, lo stampo del proprio spirito libero.

 

 

 

FLORENCE


Of the many artists that the Renaissance has had, a good part is Tuscan and a good portion of these Florentine. Michelangelo, Donatello, Brunelleschi to name a few.
Why Florence? For freedom. It is well known as early as Arezzo Francesco Petrarca contrapponesse Florence, with its free city idealism, in Milan, dark dictatorial city.
But freedom of the beginning Quattrocento was gradually dissipating, up to not get that one faded and faded memories soon.
If the policy of Cosimo I was freedom-and it was, with different ways and the most refined, the Italian of the Magnificent because he brought Florence to the Italian stage for the first time giving their own cultural choices with those policies, will be to give the city that solemn and magical tone that we recognize today.
Florence between the fifteenth and sixteenth centuries interweaves his story with the story of the family feuds that had always bloodied the city, Dante had been a horrified spectator-opponent. The Medici family, with means even unorthodox, often made the object of attacks, once I take the power Lorenzo the Magnificent, who had suspended the Humanism of Coluccio Salutati, Leonardo Bruni, Flavio Biondo, was the protagonist of the scene.
Cosimo I had first transformed the Accademia Fiorentina in Accedemia Fiorentina and then had moved the seat, incidentally, in his palace. This control that the ladies of the Renaissance city (and Florence is no exception) had to take place discreetly, even with plenty of style and abundance of art. The benefactor donated art to citizens and protection for artists and in return demanded their freedom. This political game was, more than elsewhere, its dramatic in Florence.
Florence crying in the 1492 death of Lorenzo the Magnificent (the prestige of his court had extended the literary horizon of the Florentine tongue out Firenze) is the same city that two years later has to suffer the humiliation of the passage of a foreign king in his walls, the ambiguous Charles VIII of France, and is the same one that supports the Republic of Girolamo Savonarola, 1494-1498.
Florence Florence is the same that in 1522 organized an attack against the grandson of Lorenzo the Magnificent, and his successor as master of the city, that Giulio de 'Medici former archbishop, already protected by his cousin, Pope Leo X - son of Lorenzo the Magnificent -, who took the opportunity, thwarted the maneuver, the Florentine Academy to close some of whose elements were part of the coup. Among them also Machiavelli, Secretary of State accused of having conspired for the establishment of a Republic.






Yet Florence was the cradle of the Renaissance.
The civil commitment of humanists such as Salutati, Blonde and Auburn, their rediscovery of the classics, the enthusiasm for the discovery of man, discovery meant as its new definition as a creative subject and the infinitive potential, had a heated environment with Verrocchio and da Vinci, Michelangelo, Donatello and Brunelleschi, the Burchiello, the Flea, Aretino, Machiavelli and Guicciardini and many others had splesso its own light, he had brought a new and extraordinary air of novelty on the fourteenth footsteps and Ancient Rome but soon would lucubrate own ways to beauty and harmony.
Beauty and harmony, we repeat, that if born as artistic ideals, later became a school, classicism, which became a political means of adhesion to the powers that be in the courts.
The court became a cultural propaganda tool of the powerful.
Classicism pro-government opposed the anticlassicismo soon, as we said.
In Florence the anticlassicismo in historiography was represented by Machiavelli, which not coincidentally dedicated the work to a Medici, but was careful not dall'indicarli as a powerful example of the Prince to follow, and Guicciardini, who in his melancholy reflection on a story ungovernable always saw succumb weaker against the stronger, in a sort of inevitability is the government of the highlights is the sedition of the weak.
The court of Florence, also read the unlikely twists of fleas and his Morgante, in a kind of comic compensation no longer feasible model of chivalry (even Ariosto and Tasso degrade the matter although sublime forms).
This court, therefore, had the moral responsibility of the leadership in the issue of language.
Notes positions:
Bembo was to talk about the Florentine Petrarch and Boccaccio.
Machiavelli was to talk about the Florentine alive, the Florence of the 1500s Florence.
Gian Giorgio Trissino, with the castle, and Baldassare Castiglione, with The Courtier, were to speak the language of the courts.
Just Trissino and Castiglione, in their excessive servility to an established power that is always locked up again and that put difference between his language and that of the people, in his mystery plays and farces and comedies of the poor, would have lost for the first .
And the question of language will have to have another work as reference and another author, a Milan, to defend the majesty of the Florentine dialect.
The Petrarchism, this helps in the dispute. It will also be a model of classicism then taken from Bembo to linguistic idealization and other blacksmith in the Italian speaking style and convenience, but the Petrarchism phenomenon is more complex than a mere imitation: one might say that Petrarch is the first author studied, imitated and accepted by all Italian as a teaching meter. If Dante had admired it in a certain way unreadable, at least in its depth and in some steps, a non-local government, Petrarch, with his unilinguismo was the perfect Italian manual of the fifteenth and sixteenth centuries.
By Petrarchism you will have the first Gaspara Stampa, the first petrarchini. Francesco Petrarca become a fashion, a symbol. And thanks to him the prestige of this dialect so fine and nice, so rich and so Frenchified vowel, assurgerà one day to the dignity of the national language.
So if you think that Aretino will live between Rome and Venice, the Burchiello will be dismissed and will die poor in Rome, Machiavelli and Guicciardini will be weakened and left fallow for a long time by the policy, you have a first clear picture of how the brightness of a 'fine art corresponds an interesting political closure. partial closure, little successful attempt to make a political Renaissance Early Middle Ages.
Soon Florence find the upheaval of a Galileo Galilei and a reformer necessarily eighteenth century to prepare for the final act of his release.
It will be a long process, not surprisingly started with the close that applied Doctors of the city, but it will be an inexorable path, which will then also the attempt of these men, these champions of the common good of the freedom to belong to a time guilty, as the sixteenth century, in which they learned to immortalize it in written and marbles, chapels and comedies, the mold of his free spirit.

 
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