Il Salone del Libro di Torino 2011 - Giudizi critici
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SALONE INTERNAZIONALE DEL LIBRO 2011
Torino, 12 - 16 MAGGIO 2011
Il Salone Internazionale del Libro, al Lingotto, a Torino, è l'appuntamento dell'anno per editori, scrittori e lettori d'Italia.
Torino è una città ricca, colta, un'antica capitale; la sede è prestigiosa, quella della fortuna "ambivalente" degli Agnelli (famiglia o troppo amata o troppo odiata); i giorni sono quelli della primavera, quando il caldo delle giornate rende leggere una piacevole divagazione per la sofferente umanità italiana del perenne torpore culturale.
Per il secondo anno consecutivo sbarco al Salone. Le novità, però, sono due ed entrambe incredibilmente importanti. La prima è che anziché fermarmi per un solo giorno ne ho a disposizione ben quattro. La seconda è che l'anno scorso ero il solo vago ed impertinente idealista, questo, invece, è stato il mio primo appuntamento pubblico da scrittore, dopo la presentazione a Foggia.
S'intenda, nessuno mi conosceva. Delle due case editrici con le quali ho pubblicato la sola presente non esponeva miei libri. E dunque, zaino in spalla e trent'anni scolpiti nella barba selvaggia, giro gli stand.
La prima considerazione che si possa fare lì, in mezzo a quella bolgia di persone che s'aggrumano, s'incalzano, s'intoppano e si affannano a cercare libri, inseguire autori o sbirciare gli appuntamenti, beh, la prima considerazione è questa: mah! Sarà anche la festa del capitalismo editoriale travestita da democratizzazione della scrittura o altre frasi simili, ma qui la letteratura è diventata un'oceano indistinto di voci, lontani canti di sirene che si estinguono e restano fuori da ogni umana comprensione del gran numero di libri scritti.
Così, a quel pensiero, ricordo le statistiche: ogni giorno, nel nostro amato Paese, si scrivono più libri di quanti se ne leggano!
Un paradosso, in Italia è regola. Questo nostro è il Paese dei paradossi.
Seconda considerazione: ce la farò a far sentire la mia voce in questo marasma caotico, tra il luccichio estenuante delle dolci vetrine mastodontiche dei grandi editori, dietro cui i libri sembrano prigionieri di guerra o ostaggi.
Lì per lì ci si risponderebbe di no, se non si fosse come sono io, cioè un cristiano full time. Se si è cristiani non si può dubitare. Cosa? Cosa non si può dubitare? Che io emergerò rispetto a tutti quei miei amici/avversari? No, non è questo il vero pensiero del vero cristiano, ma Sia fatta la Tua volontà! Questo pensavo.
A questo punto stilerò una cronologia degli incontri o delle relazioni a cui ho assistito:
12 maggio -
Giro pomeridiano esplorativo
13 maggio -
Conferenza sui grandi romanzi storici, con due autori di questo affascinante genere.
VALERIO MASSIMO MANFREDI - Mi è sembrato, sebbene colto e dal fare magistrale. Argomenta bene e magnificamente cita a memoria di latino e di greco, di Senofonte e dei moderni. Non mi è piaciuto che, polemizzando con un anziano signore filoleghista, abbia bestemmiato e suscitato, con ciò, la risata generale della platea.
ALESSANDRO BARBERO - Meno noto del primo ma forse più diretto nell'affrontare alcuni problemi storiografici e storici anche in merito alla trasposizione narrativa. Com'egli stesso ha affermato il punto di vista di uno storico e quello di un archeologo sono complementari ma diverse; necessariamente complementari e altrettanto necessariamente diverse.
PIERO DORFLES - Poveretto, il giornalista, poiché si rimbalzavano la palla l'uno con l'altro i due relatori, solo talvolta, timidamente, accennava una domanda, per altro decisamente adeguata.
Quando mi sono avvicinato ho chiesto prima a Dorfles di potere lasciare i miei racconti. - No! - disse imperioso. - Me li spedisca in Rai!-. Ed è appunto quello che farò.
Poi Valerio Massimo Manfredi, che, guardandomi a pochissima distanza, con quella faccia da re greco antico e quegli occhi grandi ed allungati, roventi sotto quella barba bianca alla Caronte, mi dice che non potrei immaginare quanti libri ha ancora da leggere, e poi deve uscire, vedere gli amici, e, allargando le braccia, dice: - Non ce la faccio, mi dispiace non ce la faccio! -. Poi mi fa gli auguri. Ho molto apprezzato la sua sincerità.
Infine Barbero, professore di storia e scrittore, distintissimo, gentilissimo, alto e cordiale mi lascia dei recapiti telematici e si dimostra disponibile acché io lo ammorbi con le mie fetide richieste di giudizio. - Purché non pretenda che li legga subito! - apostrofa. - Ci mancherebbe, professore! - è il mio laconico e sorridente commento.
14 maggio -
LUCIANO CANFORA - Entro in sala che ancora profetizza, questo grande genio del secolo che io ho avuto l'onore di conoscere a Bari. Sicuramente è uno dei massimi spiriti critici dell'epoca, ma pur sempre è un italiano e, per tale, non riesce nemmeno egli a distaccarsi dalla logica italiana (italiota) dell'allegoria ideologica o all'agone storico-intelletual-politico. "La Chiesa cattolica contro l'unità d'Italia, è stata un problema, bla bla bla...". - Sono cose note e arcinote- avrei voluto dirgli - Gramsci, il più grande comunista italiano di tutti i tempi, se aveva detto un veleno, per l'Italia, tutta quella sua storia, aveva anche riconosciuto un grande ruolo alla chiesa cattolica (in altri tempi che non l'Ottocento!). Magari questi discorsi un tipo come Luciano Canfora potrebbe sterilizzarli o completarli. "La Chiesa cattolica, grande istituzione secolare, che pure aveva tentato di riunire più volte l'Italia, è stata, per il Risorgimento, un grosso problema".
Comunque, egli dibatte contro la chiesa e a favore del popolo e dell'idea sentimental-mazziniana di esso e del Paese.
Gli risponde, tra i tanti, Tullio De Mauro, professorone anch'egli, anch'egli ascoltato e commentato; ex ministro, attualmente in ogni libreria che si rispetti, De Mauro bacchetta il mio Canfora, eccedendo anche lui, però, nell'elogio sperticato per l'altra parte.
Sembra che l'oggettività, in questo benedetto Paese, sia la prima delle ricchezze morali a cui ambire!
Finisce dopo un po' la conferenza. Io mi avvicino. Il longilineo barese, occhialetti e taglio di capelli alla Gramsci, distinto, pacifico, sereno, di una signorilità quasi invereconda per un meridionale, è lì che saluta, stringe mani e commenta. Voglio salutarlo. Alla fine, mentre fa per andarsene, rimaniamo io e una ragazza.
Ella si avvicina prima di me, stringe la mano al professore che, evidentemente, resta ben colpito dalla giovinezza sua. Non che fosse uno schianto, ma da giovane quale era la ragazza capisco l'interesse di lui. Ad un certo punto succede l'irreparabile. "No, perché, professore, io studio all'Università e ho letto anche un suo libro...". Quale fosse, è la naturale domanda di quello. "Ehm... ora non mi ricordo, caspiterina, quello con la copertina che ha una statua antica...".
Io ero lì che, in quel mentre, avevo appena stretto la mano al professore un attimo e avrei voluto spiccicare due parole, quando vedo il suo volto ritornare istantaneo sull'altra a quel "non mi ricordo" e passare dal colore sangue che ogni umano ha ad una pigmentazione delle pelle tendente al bianco latte.
Io, che a quella scena provavo profondissima vergogna, (se non ricordo il titolo di un libro che sto leggendo o ho letto, che ci sta e non ci sta, almeno non faccio quella figura con quel pezzo grosso lì), ebbene anch'io resto esterefatto dal proseguo: il professore ridacchia, nervosamente, poi si avvicina una sua amica e commenta quello che la ragazza stava facendo, cioè dicendo di avere letto un suo libro di cui non ricordava che la copertina e dicendo che era un po' poco e che di libri ne aveva fatti. Il tutto, però, si pensi, non sbraitando o inveendo ma con una calma irreale.
Di lì, si congeda e va. Poi io vengo allontanato da uno degli adetti alla sicurezza della sala, o piuttosto un adetto alla mia di sicurezza, o un angelo alato che mi ha risparmiato aspetti più triviali di quell'amaro incontro.
DE CATALDO - Altro pugliese, dopo Canfora, De Cataldo. Tarantino, avvocato, giallista. Si parla di Risorgimento. Il suo discorso è scabro ma essenziale. Niente fornzoli. Mi è piaciuto, non mi ha esaltato. Chi mi ha esaltato è stato un suo compagno di (s)ventura. Tale Mari, scrittore che durante l'audizione scoprirò essermi coetaneo. Nato nell'80 in qualche posto della Pianura Padana codesto scrittore esordisce male e finisce peggio. Una serie di parolacce dal pulpito, una serie di immagini volgarotte e trivie. Un discorso che, concettualmente, ero un po' sbrindellato con qualche leggero acume critico della situazione Risorgimento (ad esempio che, studiandolo per sette anni lo conosce ormai ma che la prima impressione gli è parsa di un totale casino). Ebbene, ascoltare il discorso di costui ha nobilitato gli interventi altri, tra cui quello normale e, a tratti robusto, di De Cataldo, al quale, però, devo riconoscere una grandissima cordialità, una volta finito l'incontro. Si salutano tra loro: alzo la mano sotto il palco, a richiamare la sua attenzione, scuote la testa, viene e scende tra noi.
"Sono un giovane scrittore pugliese, volevo lasciarle dei miei racconti..." riscuote la testa argentata e compiaciuto (almeno così mi è sembrato) lo accetta. Me ne vado, contento.
UMBERTO ECO - Un grande scrittore, un grande narratore, un grande uomo è colui che, se tiene una lectio magistralis, scherza con sé, con il pubblico e con gli eventi. Che ascoltare Umberto Eco sarebbe risultato in qualche modo interessante era una convinzione dentro che non ho impiegato molto a mettere a fuoco.
Lo trovo allo stend IBS. Si parla di non ricordo cosa ed egli era lì, con i suoi ottantacinque, un'espressione fiera da "primo contadino del reame" ed il suo bastone mezzo english mezzo nonno che ti racconta la guerra. E che Umberto Eco di guerra, di pace, di vita e di letteratura abbia molto da dire ti si fa palese dopo poche parole. Finito che fu quell'incontro lo seguii con altri, in un codazzo intrapreso tra gli stand altri dell'immenso complesso ex FIAT.
Si arriva. Ovazione in Sala. Si accomoda. Io non credevo di trovare i primi posti, li trovo. Io non credevo che, seppure essendo stato ad un passo, infatti lo seguivo molto prossimamente, io non credevo che un mostro sacro della letteratura internazionale fosse così umano ed avvicinabile. Un ragazzo gli regala un libro, egli, dall'alto del palco lo accetta, dispensa un sorrisone, come solo gli omaccioni nordici (e piemontesi) sanno fare (e che un po' mi ricordavano il bergamasco Roncalli) e dimostra a tutti la sua vicinanza. E questo è stato positivo e non, perché da lì sono iniziate le peregrinazioni. Un libro di disegni, se non erro, gli viene presentato, lo accetta. Così mi avvicino. Mi precede una ragazza. Io ed ella davanti a cotale scrittore: "Professore, sono una storica atipica e volevo regalarle il mio libro..."; penso che Eco abbia apprezzato più lei che quel mattone, ma tant'è...
Allora io, che ero proprio lì. "Professore, abbia pazienza. Io sono un giovane scrittore e volevo regalarle i miei racconti. D'accordo, dice il suo sorrisone solito. "Ho debuttato da poco..." ed egli mi replica, scherzosamente "Ognuno ha i suoi difetti", prende il libro, sorridente, legge il titolo SOTTO CASA SI PROSTITUISCONO, e fa l'espressione che farebbe un ebreo davanti ad un musulmano a Gaza.
Poi mette in borsa, torna a sorridermi e io sono lì lì per aprire le ali e volare verso l'infinito.
Non sarà che un sogno, ma che potenza e che calore mi hanno preso sapendo di avere appena dato il libro a un grande scrittore.
Mi seggo. Lectio magistralis che inizia. Un incanto. Un uomo del genere, dico, con l'intelligenza, con la raffinatezza, con lo charme, con l'ironia che lo contraddistingue, come fa a non essere sempre in tv? O meglio, come fa a non esservi mai? Come possono, i mezzi di informazione, lasciare al margine uno che parla così (e non è il solo, la stessa cultura è emarginata).
Ci spiega LA COSTRIZIONE DELLA SCRITTURA, cioè quando, nel creare un romanzo, si è sentito costretto da misure, luoghi, date e descrizioni, a fare ricerche, documentarsi e riflettere molto per far quadrare i conti.
Che poi, egli ha debuttato a 48 anni suonati, se ricordo bene, speranza per tanti come me.
Io avevo comprato già IL CIMITERO DI PRAGA, per volere la sua firma, ma non poteva firmare, complice un infortunio alla mano. Finisce la Lectio che mi è così tanto piaciuta (ci ha fatto vedere i disegni delle abbazie che ha fatto per ricostruire al meglio i passaggi segreti ne IL NOME DELLA ROSA o ci ha spiegato le coincidenze ne IL CIMITERO DI PRAGA o perché IL PENDOLO DI FOUCAULT si chiamasse così; ci ha spiegato che in prosa 0vale il RES TENE, VERBA SEQUENTUUR ed in poesia è il contrario; ci ha detto che egli descrive solo posti che ha visto, perché gli piace viaggiare nei posti che conosce e può ben descrivere).
Così tanto mi è piaciuto che compro, all'uscita, anche IL NOME DELLA ROSA, libro rivelazione del 1980, anno che, così, a mente, pure mi ricorda qualcosa ...
LUIS SEPULVEDA - Non mi sono ricordato! Non mi sono ricordato, ahimè, altrimenti lo avrei abbracciato forte, gli avrei detto il numero di quell'anno, 2007 dopo Cristo, o il luogo santo, Roma, o il nome che ha per lui e per tanti la libertà, Amnesty. Non mi sono ricordato che forse forse ho fatto parte, anche se in ritardo e per poco tempo, di coloro che lo avevano salvato dalle mani del carnefice violento.
Ho letto "lectio magistralis" di Luis Sepùlveda e mi si è mosso qualcosa, dal fondo sabbioso della memoria, in cui sotterriamo tesori di volti, immagini, anagrafiche e passato. Ci andrò. E ne è valsa la pena, accipicchia!
Il giornalista gli poneva domande ed egli in un buon italiano, con molto arguzia e intelligenza, ci istruiva sulla sua visione del mondo.
Ci parla anche del perché ha fatto letteratura. Egli era un giocatore di calcio. Una volta, innamoratosi di una ragazza, viene accidentalmente invitato dalla medesima alla sua festa di compleanno. Gloria, il suo nome. Ebbene, cosa gli regala il piccolo Luis? La cosa per lui più preziosa e la meno considerata da lei: una foto della nazionale di calcio cilena, autografata da tutti i calciatori. "A me non piace il calcio" perentoria rispose, gelandolo. "E cosa ti piace" stizzito egli protesto: "La poesia!".
(Considerando che anch'io ho fatto poesia per amore, siamo vicini anche "sentimentalmente").
Comunque, l'incontro finisce. Io, in precedenza, avevo comprato l'ultimo suo libro, Ritratto di gruppo con assenza. Volevo che me lo autografasse. Quel nome mi era un ritornello stranamente familiare. Il resto fu il destino.
Mi avviai con altri, in fila, per il rito dell'autografo. Dopo poco, però, ci chiesero di uscire e lo scrittore cileno si mise fuori con tanto di banchetto. Feci la fila, uno degli ultimi. Arrivai, mi guardò con occhi vispi sotto il suo largo e teso capello di paglia bianca, mentre fumava impertinente il suo sigaro, con la stessa arte con la quale Michelangelo maneggiava pennelli.
"Ciao" gli faccio e gli dico a chi dedicare il libro, mi risponde calorosamente. Ci stringiamo le mani. E finisce lì... per ora, almeno. Esco dalla fila sto andando chissò dove, in cerca del prossimo evento, quando una voce dentro mi risuona, una voce bianca e squillante, angelica, fatale, divina. Apro la borsa, estraggo un mio Sotto casa e torno da lui. C'è ancora, gli ultimi, con le ultime dediche e qualche commento ai suoi libri. Egli risponde a tutti, allargandosi sempre in uno di quei sorrisi giocondi che sembrano un arcobaleno tra la pioggia, proprio ed esclusivo dei sudamericani. Il suo viso teso si rilassa in quelle sorridevoli ed emozionanti ancorché brevi conversazioni pubbliche.
Sono l'ultimo, lo aspetto. Mi guarda con il fondo degli occhi, mentre risponde ai saluti del ragazzo che mi precedeva. Mi dà retta. "Sono un giovane scrittore e volevo regalarti il mio libro...". Guarda la copertina, lo accetta immediatamente e di buon grado. Mi saluta con parole che io non so commentare se non in forma di preghiera: " Ciao, collega...".
Mi si è allargato il cuore, perché il tono del suo augurio, un tono profetico, da antico Inca, era sereno e sincero. Ci stringiamo nuovamente la mano, questa volta come a suggellare un patto! Il sole timido di Torino osservava muto nella baraonda di varia umanità che si addensava lì, poco più in là di noi.
Io, che sapevo di non meritare il suo simpatico omaggio di augurio, non sapevo se ridere, piangere o svenire.
Non fui più troppo in me. Avevo come le sensazioni classiche che gli amici antichi descrivevano, di uno ferito dalle freccie di un dio, che non sappia più quanta felicità gli riempia il cuore e l'anima.
Me ne andai benedicendo il Signore, non per un qualcosa che non meritavo, non mi sentivo e non mi sento, ahimè, scrittore, anche se spero di esserlo, un giorno, ma piuttosto per la fratellanza che la poesia e la letteratura, in genere, sono in grado di generare. Quei germi di mondo nuovo che tante volte sognamo ancora troppo timidamente, nella mano del buon Sepulveda, io ho trovato vivi segni del sogno difeso dall'oggi per disegnare un più equo e amorevole futuro.
DAVIDE RONDONI - Così come ero, barcollante e visibilmente ferito da Apollo, mi stavo dirigendo di nuovo dentro gli stand, quando, camminando lentamente, incrocio Davide Rondoni, noto scrittore cattolico.
Sta parlando con una donna, alta e decisamente interessante. Attiro timidamente ed educatamente la sua attenzione, allora egli si porge verso di me: "Volevo soltanto stringerti la mano", gli dico. "E perché?" replica, dando un'espressione al suo volto, che definirei dantesca, per quanto somigliava ai personaggi di uno dei quadri cavaraggeschi, in cui i soggetti aggrottano la fronte e allargano le labbra sotto le barbe ispidi.
"Perché mi piace cosa dici e come lo dici" è la mia risposta, che mi parve gli piacesse. Molto cordialmente mi presenta alla donna, di una casa editrice che ora mi sfugge, e mi introduce al loro discorso. Poi, non so come, parla della differenza di posizione tra Leopardi e Manzoni a proposito di centocinquantenario, perché io prima avevo accennato al fatto che questa benedetta Italia è ancora troppo divisa (visti i battibecchi tra galli in cui si producevano alcuni relatori). Insomma sto lì con loro per un po'. Il tempo di dire che sono uno scrittore e sono lì per farmi conoscere. Davide mi dà del tu, cosa che apprezzo moltissimo, mi sembrava veramente una persona non cattolica ma cristiana. Finalmente, dico! Così mi dice: "Dai Vito, mandami qualcosa che hai scritto". Io, che ancora non mi ero del tutto ripreso da Sepulveda, temo che il cuore mi crollasse lì, in un istante, per sempre. "Certo" dico. Ed egli: "Di cosa scrivi?". "Narrativa che cura l'attualità, mi piace indagare i problemi del mondo odierno". Poi aggiungiamo poco altro, io gli ricordo la promessa che gli avrei scritto. Egli mi ripetè il suo piacere, e così me ne andai sempre più convinto che la letteratura mi stesse parlando attraversa la chiamata mistica che Dio Padre mi faceva in quegli incontri strani al Salone del Libro di Torino.
(MARGHERITA HACK) - Di Margherita Hack non ho seguito il vero e proprio intervento dal palco, se non nelle batture finali. Ho seguito qualche sua comparsata negli stand tra i vari padiglioni. In uno, di una casa editrice importante, mi ricordo questo, che è un episodio che non dimenticherò tanto facilmente. Era lì, la scienziata, adagiata su un divano e carica di anni ma in discreto umore da sorridere e parlare con il pubblico. Tra i tanti, ed io ero lì, presso di lei a guardarla un attimo, si avvicina in ultimo una signora. Si inchina al livello della professoressa e le sussurra parole che la mia vicinanza e la mia curiosità non mi hanno ostruito: "Professoressa, mi creda! Dio esiste, basta che lei lo cerchi dentro di sè!", alché ho visto la toscana alzare le spalle e versificare un onomatopeico "eeeeehhh". Poi la donna si alzò, stringendole la mano, e, decisa, se ne andò via. Sembrava una missione la sua, diretta venne, diretta andò.
CARDERO - Professore emerito in non so che, la fama di costui mi era poco nota ma, tant'è, mi sono detto, tiene una Lectio magistralis anche lui, saprà pur dire qualcosa di sensato. E con curiosità corro in Sala Gialla per seguilo.
Sala abbastanza piena, non trabordava ma piena. Tutta gente immediatamente più giovane di questo Matusalemme sinistroide. Che la sua "lezione" dovesse essere uno sgorbio letteral-politico lo capisco sin dalle prime frasi. Legge, andando a braccio non oso immaginare cosa non avrebbe potuto dire. E legge una serie infinita di ingiurie che cavalcano 150 anni di Italia: prima la Chiesa, che è andata contro l'Unità e delle cui colpe tutti siamo oramai più che convinti, ma gli appellativi con i quali è stata chiamata sembrano anche ingenerosi se, fino all'Ottocento, la Chiesa era il Papa (un nobile o figlio di nobili o una volpe comunque) e qualche cardinale e qualche vescovaccio. Passata in rassegna, però, la malarica influenza pretesca ed ecclesiale ecco i liberali, poi rapidamente il delirio crispino e il poco opportuno Giolitti, per arrivare rapidamente a Mussolini. E qui il confronto con i tempi moderni: Mussolini- Berlusconi, stessa fame di donne, di soldi e potere. Stesso delirio! Allora? Che si fa? Una lunga e noiosa relazione a dimostrare come i due siano gemelli allontanati alla nascita, con un compiacimento subdolo che mi atterriva, mentre la piazza, la platea rideva e si divertiva. Lì, in quel mentre, mentre mi chiedevo domande che avrei voluto sottoporgli, quali, "Professore, ma De Pretis, tutte le mancanze del sindacalismo di sinistra, le bombe, anche rosse, il sangue e altro perché l'ha omesso?". E più vedevo una specie mal riuscita di partigiano parlare a partigiani più mi dicevo che la cultura in Italia è messa molto ma molto male, se stiamo ancora a parlare di Mussolini paragonandolo al nostro "dittatore" moderno. E infine avrei voluto chiedergli, dopo tutte quelle ingiure, dopo quella sua lezione sanguinosa (più che sanguigna) e dolorosa (più che addolorata), se c'è al potere questo, che tutti sappiamo essere ciò che è e cosa si dirà di lui sui libri di scuola del futuro, ebbene, professore, non crede che la colpa sia soprattutto nostra?
La storia d'Italia non è può essere raccontata in questa vecchia maniera faziosa senza capire virtù e vizi dell'una e dell'altra parte e senza capire dove ci si spinge con una tale, ipocrita, visione.
Il peggiore degli interventi, tanto che il giorno dopo esce l'articolo di deferimento del Presidente del Salone del Libro. Avevo avuto spirito di osservazione!
VITTORIO SGARBI
D'annunzio. Con lui al fianco Berlusconi faceva il Mussolini e mezzo secolo dopo si ricreava la coppia poeta-politico. Coppia che, si capirà, è simile a quella lupo agnello. Modi di fare dannunziani, dunque, per il ferrarese critico d'arte, eccentrico animatore televisivo di dibattiti e polemiche.
Dopo l'arrivo da rock star e la foto con le giovani ragazze del Salone sale sul palco.
Si dovrebbe parlare del suo libro Viaggio sentimentale nell'Italia del piacere e si parla di tutto e di niente, come al solito.
La cinquantesima parola, dopo pochissimi minuti, è una volgarità. Cioè, proprio l'argomento è una volgarità, nobilitata poi dalla sua grande cultura letteraria ed artistica, con il parlare a tutto campo delle straordinarie bellezze di cui l'Italia è ricca.
Il giudizio su Sgarbi è quello che si può dare ad un esteta, più innamorato di sé e dell'effetto delle sue parole sulla folla che di altro.
Racconta di quando mandò a quel paese il professore in sessione di laurea, dei suoi alterchi per la sua trasmissione televisiva (che ho letto ieri essere già stata sospesa dopo una puntata!) della sua ossessione per le donne... poi se la prende, a suon di parolacce, perché nella Sala Oval ci sono altre manifestazioni e concerti e il suo di tromba o di clarino non gli permette di concentrarsi. Naturalmente, Salone del Libro di Torino, platea alto-borghese, intellighenzia della nazione, tutti a ridere delle sue scalmataggini e della sua irruenza maschia. Tutti tranne uno, lascio a voi indovinare chi sia!
Quando si limita a parlare di arte, solo di arte, dice e dice bene. Suadente il modo, convincente il succo, mi sembra abbia proprio l'energia per attrarre il pubblico. Ma egli vuole dominarlo, il pubblico, più che dialogare con esso. E ciò lo rende privo di realismo, utilità e valore.
Un esteta dal dolce suono di sirena e nulla più. Rovinato, nelle sue potenzialità, da null'altri che da sé.
15 maggio -
ASCANIO CELESTINI
Sento Ascanio Celestini. Ho ricordi di Roma. Bella sensazione che mi rimane per molto nell'animo, mentre vago cercando di affievolire la fiamma del ricordo di quell'amore... Sento Celestini che parla con la semplicità di un operaio e la saggezza di un pescatore. Un ragazzo alla porta di tutti, della cui acutezza mi sembra di ricordarmi ogni qual volta devo pensarmi utile a qualcosa.
Finisce il suo intervento. Firme. Oh, Ascanio Celestini è disgrafico. L'ho visto, chiaramente, firma con una calligrafia da elementare. Attendo, per dargli il mio libro. Intanto tutti portano il proprio. Una persona gliene regala, stessa mia idea. Io sto lì che attendo, poi penso. Beh, comunque, quando mi ricapita Celestini e la sua firma. Ora lavoro pure. Così compro Memorie di uno scemo di guerra. Sono tra gli ultimi quando mi metto in fila. Succede che faccio firmare "Per Vito e Federica", poi gli dico: "Posso regalarti il mio libro". Lì lo vedo, il suo scettismo, parlarmi aspramente alzando le spalle e corrugando il viso come alla minaccia di morte di qualcuno: "Non so se avrò il tempo di leggerlo!". Io rispondo che non c'è nessuna costrizione in ciò. Lo accetta, molto a malincuore.
Ebbè, per me resta una persona intelligente anche se ha accettato Sotto casa in modo piuttosto polemico. Resta una persona utile a rappresentare le maschere umane del mondo del Terzo Millennio.
don ANDREA GALLO
Volevo andare, sono rimasto per curiosità verso questo don Gallo, di cui avevo sentito qualcosa in tv. Gran folla ad attenderlo, nonostante tenesse intervento alle otto e mezza. La mia curiosità raddoppiò, in quell'istante. Aspettiamo un poco, poi arriva, accolto da un applauso scrocchiante. Arriva che vedo il suo cappello e il suo scialle nero avanzare tra la folla. Si ferma, sale sul palco e saluta. Un delirio. Beh, chi sarà costui, allora?
Inizia a parlare, parla di religione, parla del Papa di ieri e quello di oggi, parla di Bertone, suo amico genovese e di molti cardinali e vescovi suoi "ostacoli". "Una volta," racconta, "un cardinale mi dice: - Ma don Gallo, com'è che lei è sempre tra drogati, poveri, prostitute, malati...". Ed io risposi: - Ma, eminenza, se Gesù vivesse qui oggi cosa farebbe? E quello mi rispose: - Beh, se la metti così! E come la devo mettere ...".
Genovese, simpaticissimo, parla del suo libro/teatrale, libro e dvd con le recite di alcune delle lettere di Girolamo Savonarola, un riformatore della chiesa. Come egli si crede, come egli è. Parla con verità e spontaneità, dice anche parolacce (cosa che magari...).
Alla fine del suo intervento, ovazione per un prete di campagna tanto anticonvenzionale e tanto stridente con quelli, paciocconi e lussuosi, dei Palazzi Vaticani e delle dimore storiche o dei crocifissi d'oro.
Momento firme. Io compro il libro -dvd. Mi piace, don Gallo, lo trovo vero. Mi ero proposto di andare di fronte a lui e dirgli: "Ciao fratello, finalmente incontro un vero cristiano!" ma poi, vedrete, non lo farò.
Compro il libro mi metto in fila. Mentre sto arrivando incontra un genovese, un "mio figlio", come lo chiama e gli dà qualche appellativo da osteria. Un uomo alla mano deve anche parlare alla mano, mi dico. Mi firma il libro, né io dico niente, né egli aggiunge molto di più, finisce così, con una mano non stretta ed un sacerdote che non mi guarda nemmeno negli occhi, ma che ho incontrato e ammirato. Firma il su grido: "Su la testa!". La terrò su, don Gallo.
Il Salone del Libro di Torino, edizione 2011, dopo quattro giorni, finisce così. Giorni pieni, intensi, carichi di vita, di libri e di letteratura. Esordio di un giovane scrittore che combatte quotidianamente con l'urgenza di scrivere e il non volerlo volere.
P.S.- Qualcuno, ricordo in particolare due ragazzi, forse anche più piccoli di me, giravano il Salone come me, zaino in spalla, occhiate a destra ed a manca e tanta tanta speranza nelle iridi. Come vedermi, è stato, e mentre li fissavo un attimo e donavo loro il mio augurio, speravo tra disperati di sperare, ancora, sempre!
(GIORGIO FALETTI)
Ultimo aggiornamento (Lunedì 27 Giugno 2011 13:53)