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Breve critica dell'autocritica di un poeta del nuovo Millennio


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Il fenomeno tutto occidentale della galoppante alfabetizzazione di tutti noi, poveri mortali, appartenenti ad una classe sociale media, con pensieri medi, bisogni medi e sogni di arrivismo e di salto di categoria che ci rendono peggiori di chi ci guarda dall'alto e di chi guardiamo dall'alto, è un fenomeno che oggi, in tempi di crisi culturale e quindi economica si potrebbe ascrivere al reazionario processo di democratizzazione emarginativa dell'attività scrittoria.

E così, essendosi composto, eterogeneo, agguerrito, invidioso, tosto, tostissimo, un pubblico di scrittori (o di lettori-scrittori in pochi casi) succede che il numero di interventi culturali in Italia sia sempre di buon numero (magari non proprio come nella pre-crisi ma comunque notevole) ma la qualità degli scritti si sia incrinata irrimediabilmente.

Questo, io credo, non tanto e non solo per la qualità di chi scrive ma piuttosto per la metamorfosi lenta, inesorabile ed insondabile del pubblico di scrittori.

Esso, divenuto giudice e arbitro delle mode letterarie, divenuto consumatore-produttore, autoproduttore-autoconsumatore, divenuto un numero progressivo di tessera fedeltà da passare in libreria per accumulare punti e sconti sui libri, è il vero artefice di quello che si scrive e non si scrive.

 

Volete voi forse, amici, una prova di quello che dico?

Bene, v'accontento.

Prendiamo il presente post. Si intitola "Breve critica dell'autocritica di un poeta del nuovo Millennio".

Già solo su questo titolone, che per chi non mi conoscesse è bene chiarire ha un intento polemico-satirico rispetto a titoloni simili che viaggiano nelle nostre librerie, già su questo titolone si potrebbero fare adeguati commenti di inadeguatezza.

A me però interessa chiedervi: quale sarebbe, per questo tema, un giusto esordio?

 

Se io scrivessi

"Io sono un poeta. Lo sono sempre stato, da quando, all'età di dieci anni ho composto la mia prima poesia in quinta elementare..."

 

voi mi dareste del megalomane.

Se io scrivessi

"Forse non sono e non sarò mai un poeta per via del mancato riconoscimento dei miei versi da parte di una società che contesto in tutto, nei modi e nei fatti, e che lucidamente traspare nella mia poetica come inficiata da ipocrisia e terrore che alimentano uno stato di perenne arrendevolezza della maggior parte degli individui in favore del potere e della ricchezza di pochi altri vessatori"

voi mi dareste del pasoliniano, del contestatore insoddisfatto, del piagnucoloso.

 

Se io, infine, scrivessi come sceglierò di esordire, voi cosa mi direte?

 

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BREVE CRITICA DELL'AUTOCRITICA DI UN POETA DEL NUOVO MILLENNIO

 

La luce nella stanza. Il compito assegnato dalla maestra. L'istintività. La penna che corse. La matita che disegnò. La tempera che colorò.

Dopo pochi minuti ero davanti a lei, a supplicare che leggesse la mia poesia.

La maestra, incredula che io avessi già svolto quel compito, mi sgridò. Pensava che fosse l'ennesima volta che io le chiedessi qualcosa. Mentre la prese e lesse, io abbassai il capo e piansi silenziosamente.

Quando finì di leggerla, mi guardò ed esclamo giuliva: "Bellissima!".

Poi mi vide piangere e mi consolò. Mi chiese anche scusa per il tono duro.

Da quel momento, ero in quinta elementare, io divenni per l'intera classe "Il poeta". Un mio amico, al pari di me, eccelso disegnatore, fu ribattezzato "Il pittore".

 

Fu allora, per la prima volta, che sentii in me qualcosa di diverso.

E perché non avevo ragionato minimamente, come se la penna e il cuore avessero scritto quella poesia per la Madonna da un dettato e perché per la prima volta qualcosa che io facevo aveva il più alto plauso di qualcuno.

 

Avevo dieci anni e l'unica cosa per cui non risultassi tonto era scrivere parole su un pezzo di carta.

 

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Ultimo aggiornamento (Sabato 19 Settembre 2015 22:51)