Vito Lorenzo Dioguardi - Blog

Libripdf.com
Libri pdf
Frasi celebri
http://www.frasicelebri.it/argomento/poesia/
http://www.frasicelebri.it/citazioni-e-aforismi/frasi/amore/
Italian English French German Portuguese Russian Spanish Turkish
Entra nel sito



Libripdf.com
Libri pdf
Home Home Blog Blog Un'analisi dell'opera foscoliana all'interno del panorama europeo del razionalismo fine-settecentesco e del patriottismo inizio-ottocentesco

Un'analisi dell'opera foscoliana all'interno del panorama europeo del razionalismo fine-settecentesco e del patriottismo inizio-ottocentesco


Share

 

VITA E OPERE DI UGO FOSCOLO

 

Niccolò Foscolo nacque a Zante nel 1778 e morì a Turnham Green nel 1827. Nel corso della sua vita cambiò il proprio nome di battesimo Niccolò in Ugo.

 

Da giovane visse in Dalmazia e poi, quindicenne, a Venezia. Durante la sua vita pellegrinò molto per ragioni politico-militari. Fu sui Colli Euganei, a Bologna, ancora a Venezia, a Milano, a Genova, a Firenze… ma alla fine, dovette abbandonare l’Italia perché agli onori mondani scelse la coerenza intellettuale e visse a Zurigo e a Londra.

 

Nel 1797 aveva fatto rappresentare una propria tragedia, il Tieste.

Quando le truppe napoleoniche invasero l’Italia, egli scappò a Bologna e vi stampò l’ode A Napoleone liberatore.

Pure, quando lo stesso anno, il 17 Ottobre, Napoleone cedette all’Austria Venezia e le terre seguenti fino alla Dalmazia (Trattato di Campoformio), Foscolo riconobbe il fallimento del sogno della libertà italiana e vide spezzati i desideri dell’onestà della Rivoluzione francese per cui aveva parteggiato e combattuto.

Tuttavia, pur cambiando atteggiamento e considerazione per il Bonaparte per anni continuò a vivere all’ombra dei Francesi, sicuramente garanti di un qualche cambiamento, seppure ambiguo.

 

 

La prima importante opera di Ugo Foscolo sono le Ultime lettere di Jacopo Ortis che l’editore bolognese fece concludere ad un certo Angelo Sassoli mentre Foscolo era al fronte a combattere contro gli Austriaci. Era il 1798.

Quando il poeta poté tornare si mise ad ultimare il romanzo e lo stampò nel 1802, anno che si considera della prima edizione.

Altre edizioni dell’Ortis saranno il 1816 a Zurigo e il 1817 a Londra.

 

 

Continua a scrivere e pubblica nel 1803 le Poesie (due odi e dodici sonetti).

Intanto tra il 1804 e il 1806 si stabilisce nella Francia settentrionale, per seguire le truppe francesi che si preparavano all’invasione dell’Inghilterra.

Come si sa l’invasione programma non ebbe luogo e Foscolo tornò a Venezia per incontrare la madre.

Qui, Ippolito Pindemonte gli parla del proprio progetto di scrivere un’opera sulla legge di Saint Cloud, legge napoleonica che vietava la tumulazione dei cadaveri all’interno delle mura cittadine. Questa chiacchierata ispirò a Foscolo il carme Dei Sepolcri, appunto dedicato all’amico.

 

Nel 1811 fece rappresentare un’altra tragedia, l’Aiace, in cui nelle vesti del tiranno Agamennone molti videro una polemica con gli atteggiamenti imperiali di Napoleone. Questo impedì le repliche della rappresentazione e convinse i Francesi a togliere ogni beneficio allo scomodo poeta che scappò dunque a Firenze. Nella città toscana compose un abbozzo delle Grazie (1812-1813) e , frequentò il salotto culturale della contessa d’Albany, la donna di Alfieri.

 

Intanto le vicende politiche erano alternanti: Napoleone venne sconfitto a Lipsia e Foscolo rientrò a Milano per far parte dell’esercito napoleonico. Dopo Waterloo, il generale Bellegarde offrì al poeta la direzione di una prestigiosa rivista che doveva nascere di lì a poco con l’intento, per gli Austriaci, di ingraziarsi i favori dei letterati italiani. La rivista si sarebbe chiamata Biblioteca italiana.

Foscolo tentennò, stese un programma di massima, ma, al momento della dichiarazione ufficiale, scappò via dall’Italia, rifugiandosi in Svizzera.

Perché Foscolo scappò? Per coerenza poetica, avevamo detto prima. Perché per tutta la vita aveva promosso e difeso le idee della Rivoluzione, le idee egalitarie e libertarie, anche dopo avere scoperto la vera natura di Napoleone.

Ora, se fosse passato ai nemici storici, se fosse passato per poeta ufficiale dell’Italia austriaca, avrebbe rinnegato quelle idee giovanili tanto difese, si sarebbe venduto agli Austriaci come in una Campoformio personale, e avrebbe dato un esempio pessimo agli Italiani tutti. Quindi la via della fuga fu proprio una dichiarazione politico-poetica: che la libertà non si schiavizza e che la poesia non si compra!

A Foscolo sarebbe convenuto diventare direttore della Biblioteca Italiana, tuttavia scelse sapientemente di scappare, nemmeno sapendo se avrebbe mai più rivisto l’Italia.

Il suo esempio patriottico rimane ancora oggi incredibilmente inattuale ed eroico.

 

Da Zurigo passerà a Londra, dove arrivò il 12 settembre 1816. In Inghilterra vivrà ininterrottamente per dieci anni, sino alla morte.

Negli ultimi anni visse un’esistenza prodiga e dispendiosa, allietata dalle cure della figlia Floriana che l’aveva intanto raggiunto.

 

I suoi resti furono trasferiti, successivamente, in Italia e deposti in Santa Croce, a Firenze.

 

 

PERIODO STORICO E LETTERARIO

 

Periodo storico

 

Nato nel 1778, due anni dopo l’inizio della Rivoluzione Americana, il Foscolo è un degno figlio del suo tempo, un rivoluzionario tenace e combattivo. Vive un’epoca di cambiamenti radicali per la storia europea e mondiale. Cambiamenti radicali che sembrano investire anche l’Italia e di cui egli vorrebbe far parte, ma la situazione culturale e sociale della Penisola non permette che l’illusione della Repubblica Cisalpina e del Regno d’Italia. L’appuntamento salterà di una generazione. Foscolo provò invano a seguire gli eventi della storia ma la sconfitta sarà cocente per gli Italiani, divisi e corrotti, cerimonieri nelle corti straniere e soldati indefessi per le armate altrui.

 

Il periodo storico della Rivoluzione industriale cambia l’economia e la quotidianità della vita della società borghese.

La Rivoluzione Francese cambia la mentalità della gente e lascia all’istinto vendicativo e animalesco del popolo o dei capipopolo il sovvertimento armato di quella cristallizzata situazione di arretratezza. (Strano è pensare come i principi razionali dei Lumi siano stati propagati dalla bile popolare!). Il triennio giacobino (1796-99), che vedrà la partecipazione attiva degli intellettuali in fase di propaganda e adesione delle masse al governo. Infine l’epopea napoleonica, che suggestionerà molti e ne deluderà altrettanti, convinti di avere in Napoleone un liberatore e accortisi di avere ricevuto solo una nuova mascherata tirannia (Foscolo stesso, Beethoven…).

Foscolo morirà in esilio mentre in esilio moriva Napoleone e mentre in Italia si accendevano i primi moti carbonari (1820/21).

 

Periodo letterario

 

La letteratura, in questo periodo, è ancora elitaria.

Monti, Parini e Alfieri sono gli intellettuali-modello della generazione passata. Il primo diverrà poeta-cortigiano prima del Papa, di Napoleone, degli Austriaci e per il suo opportunismo mai troppo apprezzato.

Parini sarà stimato dagli intellettuali della generazione successiva, come Foscolo, Leopardi e Manzoni.

Alfieri sarà non solo stimato ma a volte persino idolatrato o comunque diventerà un vero e proprio mito letterario: l’Alfieri liber’uomo che da solo lotta contro le tirannidi. I suoi scritti giacobini, egli nobile e piemontese, antisavoia, antire, antitiranno, saranno letti e approvati da molti delle generazioni successive.

 

 

Le correnti di pensiero erano:

  • il Purismo, teoria che affronta il “problema della lingua”, cioè dibattito su quale dialetto avesse le caratteristiche migliori per diventare la lingua comune, la lingua italiana. Era una discussione aperta dal Cinquecento, ma in realtà già chiusa, se la maggior parte dei libri erano scritti e stampati in lingua fiorentina letteraria (quella di Petrarca per la poesia e di Boccaccio per la prosa) secondo i dettami di Pietro Bembo.

Puristi erano Basilio Puoti e Pietro Giordani.

 

  • il Neoclassicismo, cioè la rivalutazione della letteratura antica, greco-romana.

Al consolidamento di questa teoria letteraria era stata funzionale la fama dell’archeologo tedesco Johann Joachim Winchelmann. Questi spiegava che la bellezza rapita dagli antichi all’arte si dimostrava attraverso la “nobile semplicità” e la “calma grandezza” delle loro opere, che designano un bello ideale, il principio stesso della Bellezza. È a quella bellezza universale e ideale che l’artista deve ambire.

Al classicismo di Winckelmann si aggiunge il classicismo rivoluzionario di un pittore come Jacques-Louis David, pittore napoleonico per eccellenza, che ritrae soggetti presi dalla storia greca e romana o il classicismo imperiale di Monti o quelle personale e intimo di Foscolo.

 

  • Stanchi di ripetere all’infinito i canoni della bellezza classica erano i propugnatori di altre soluzioni, più moderne, quelli che facevano capo ad un periodo transitorio di ripensamento dell’arte, il cosiddetto Preromanticismo.

Foscolo, ad esempio, scrive in lingua neoclassica ma scrive di temi preromantici.

Manzoni è un altro esempio di pre-romantico e romantico.

 

Il Preromanticismo si delinea non come un movimento unitario ma come una diffusa esigenza locale di attuazione di nuove forme e nuovi contenuti.

Prende l’avvio in Germania, ad esempio, agli inizi del secolo XIX il movimento dello Sturm und Drang (Tempesta e assalto, dal titolo di un’opera di Klinger.

Movimento di giovani intellettuali ribelli, che non si riconoscevano più nella stereotipata società borghese e che, privi di vincoli sociali, si rivolgevano al popolo, alla passionalità primitiva di cui esso era depositario, al culto del personalismo, del genio, dell’astrazione, della focosità nell’ardore patriottico e amoroso.

Ne fanno parte lo stesso Klinger, Lenz, Enrich Wagner, Muller e Goethe.

 

 

In Inghilterra il Preromanticismo evolve verso particolari tematiche.

Innanzitutto si sviluppa l’ossianismo, movimento che prende a riferimento gli importanti Canti di Ossian (1761) di James Macpherson, traduzioni dei poemi di un cantore del III secolo d.C. o meglio un’invenzione dell’autore che mescolava motivi popolari di antichi canti per farne un’epica attuale. Virtù cavalleresca e mito roussoviano della bontà degli uomini primitivi visioni notturne e infelici amori di giovani fanno da sfondo a questi componimenti che ebbero vasta eco in Europa. In Italia i Canti di Ossian furono tradotti da Melchiorre Cesarotti;

altro movimento era quello della poesia sepolcrale, i cui promulgatori sono Edward Young e Thomas Gray.

In Italia questo filone influenzerà Pindemonte che, a sua volta, influenzerà Foscolo.

 

 

ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS

(edizione 1798 Bologna, 1a edizione 1802 Milano, 1816 Zurigo, 1817 Londra)

 

67 lettere (dall’edizione del 1816 saranno 68) che Jacopo Ortis invia tra l’11 Ottobre 1797 e il 25 Marzo 1799.

 

I riferimenti precedenti

 

Il romanzo epistolare aveva una discreta tradizione, in Europa.

Il primo esempio di tale genere letterario è ascrivibile alle Lettere amorose di due nobilissimi intellettuali(1563)  del veneziano Alvise Pasqualigo.

Tuttavia la diffusione di questo tipo di scrittura si deve ai romanzi di Samuel Richardson, Pamela (1740) e Clarissa (1748) a cui seguiranno Giulia o la nuova Eloisa (1761) di Jean Jeacques Rousseau, I dolori del giovane Werther (1774) di Goethe e Le relazioni pericolose di Laclos.

 

 

L’idea del romanzo

Ci è pervenuto un quaderno programmatico del 1796 in cui Foscolo accenna all’idea di scrivere un romanzo epistolare dal titolo Laura, lettere. In realtà questo romanzo diverrà l’Ortis.

Il personaggio principale è Jacopo Ortis. La scelta del nome non è casuale: Jacopo in onore a Jean Jacques Rousseau e Ortis è il cognome di un giovane studente, Girolamo Ortis, che realmente si era tolto la vita a Padova il 29 marzo 1796 e che realmente è sepolto a Padova, sotto la Tomba di Antenore.

 

 

La vicenda

 

Jacopo Ortis, dunque, è un giovane patriota manda delle lettere all’amico Lorenzo Alderani. In esse il personaggio confida il proprio stato, le vicende di cui diviene protagonista, le proprie impressioni filosofiche e politiche, l’amarezza per il tradimento di Napoleone, ad esempio, ma anche l’innamoramento per Teresa, promessa sposa di Odoardo.

La patria venduta, l’amore impossibile fanno vagare Ortis per l’Italia, sino a quando, saputo del matrimonio di Teresa, va a trovare la madre a Venezia e torna sui Colli Euganei dove si toglie la vita.

I personaggi

 

 

Jacopo                                    giovane intellettuale-patriota

Lorenzo                                  suo amico

Teresa                                                l’amata, futura sposa di Odoardo

Odoardo                                 l’antagonista amoroso

Il Signor T.                             padre di Teresa, spinge la fanciulla alle nozze con il “buon partito”

Isabellina                               altra figlia del Signor T. e sorella di Teresa

 

 

 

 

Sistema dei personaggi

 

Polo positivo                          Mediatore/Aiutante                          Polo Negativo

 

Jacopo                                    Lorenzo                                              Napoleone

Mister T.

Odoardo

Modelli                                  Vittima

 

Parini                                     Teresa

Alfieri

Bertola

 

 

In realtà nel polo positivo avrei dovuto inserire anche Parini, Alfieri, Bertola e Teresa. Perché non l’ho fatto è presto detto: perché in realtà l’unico a rappresentare quei valori che sono stati già rappresentati dai tre letterati-modello (che quindi la loro azione si è svolta già ieri!) è Jacopo. Teresa è vittima del sistema, perché sposa colui che le è stato scelto dal padre.

 

Jacopo con la morte-redenzione si sacrifica non per vano orgoglio ma per liberazione personale dalle insidie storico-sociali e per proclamare l’assolutezza dell’io psicologico (lirico) dentro un sistema di segni contradditori.

 

Lorenzo è un intermediario, lo specchio su cui Jacopo si rassicura, un confessore profondo.

 

La forma narrativa della vicenda sta nello stravolgimento della trama classica della commedia-fiaba (situazione iniziale – ostacolo –aiutante – mezzo – soluzione dell’intreccio – lieto fine) con un incipit in media res (Il sacrificio della patria è consumato. Tutto è perduto – lettera dell’11 Ottobre 1797) e con uno svolgimento che percorre questa continua tensione lirica di disperazione- disillusione del raggiungimento della formazione di una patria o dell’ottenimento dell’amore dell’amata di disperazione- disillusione del raggiungimento della formazione di una patria o dell’ottenimento dell’amore dell’amata.

 

SCHEDA NARRATOLOGICA DELL’ORTIS

 

Autore: Foscolo

Narratore: Jacopo – 1 a persona Narratore omodiegetico

Focalizzazione interna

Lorenzo – 3 a persona           Narratore eterodiegetico –

Focalizzazione zero

Narratari: Lorenzo

 

Fabula/ Intreccio: Fabula= intreccio, tranne alcune prolessi

 

Funzioni narrative: situazione iniziale:                delusione storica (Trattato Campoformio)

cambiamento azione:            innamoramento di Teresa

impedimenti:                         matrimonio combinato

(antagonisti)                          (Signor T. e Odoardo)

Spannung:                              Addio a Teresa

scioglimento:                         morte dell’eroe

 

Tempo della storia Vari

Tempo del racconto

 

Un commento alla nota lettera del 4 Dicembre 1798 dell'Ortis a Lorenzo e cosa dovrebbe farsene e pensare un letterato di inizio millennio


TESTO DELLA LETTERA DELL'ORTIS

(in grassetto la parte che introduce e che poi descrive l'incontro con Parini)


Milano, 4 Dicembre


Siati questa l'unica risposta a' tuoi consiglj. In tutti i paesi ho veduto gli uomini sempre di tre sorta: i pochiche comandano; l'universalità che serve; e i molti che brigano. Noi non possiam comandare, né forse siamtanto scaltri; noi non siam ciechi, né vogliamo ubbidire; noi non ci degniamo di brigare. E il meglio è viverecome que' cani senza padrone a' quali non toccano né tozzi né percosse. - Che vuoi tu ch'io accatti protezionied impieghi in uno Stato ov'io sono reputato straniero, e donde il capriccio di ogni spia può farmi sfrattare?Tu mi esalti sempre il mio ingegno; sai tu quanto io vaglio? né più né meno di ciò che vale la mia entrata: seper altro io non facessi il letterato di corte, rintuzzando quel nobile ardire che irrita i potenti, e dissimulandola virtù e la scienza, per non rimproverarli della loro ignoranza, e delle loro scelleraggini. Letterati! - O! tudirai, così da per tutto. - E sia così: lascio il mondo com'è; ma s'io dovessi impacciarmente vorrei o che gliuomini mutassero modo, o che mi facessero mozzare il capo sul palco; e questo mi pare più facile. Non che itirannetti non si avveggano delle brighe; ma gli uomini balzati da' trivj al trono hanno d'uopo di faziosi chepoi non possono contenere. Gonfj del presente, spensierati dell'avvenire, poveri di fama, di coraggio ed'ingegno, si armano di adulatori e di satelliti, da' quali, quantunque spesso traditi e derisi, non sanno piùsvilupparsi: perpetua ruota di servitù, di licenza e di tirannia. Per essere padroni e ladri del popolo convieneprima lasciarsi opprimere, depredare, e conviene leccare la spada grondante del tuo sangue. Così potrei forseprocacciarmi una carica, qualche migliajo di scudi ogni anno di più, rimorsi, ed infamia. Odilo un'altra volta:Non reciterò mai la parte del piccolo briccone.Tanto e tanto so di essere calpestato; ma almen fra la turba immensa de' miei conservi, simile a quegli insettiche sono sbadatamente schiacciati da chi passeggia. Non mi glorio come tanti altri della servitù; né i mieitiranni si pasceranno del mio avvilimento. Serbino ad altri le loro ingiurie e i lor beneficj; e' vi son tanti chepur vi agognano! Io fuggirò il vituperio morendo ignoto. E quando io fossi costretto ad uscire dalla miaoscurità - anziché mostrarmi fortunato stromento della licenza o della tirannide, torrei d'essere vittimadeplorata.Che se mi mancasse il pane e il fuoco, e questa che tu mi additi fosse l'unica sorgente di vita - cessi il cieloch'io insulti alla necessità di tanti altri che non potrebbero imitarmi - davvero, Lorenzo, io me n'andrei allapatria di tutti, dove non vi sono né delatori, né conquistatori, né letterati di corte, né principi; dove lericchezze non coronano il delitto; dove il misero non è giustiziato non per altro se non perché è misero; doveun dì o l'altro verranno tutti ad abitare con me e a rimescolarsi nella materia, sotterra.Aggrappandomi sul dirupo della vita, sieguo alle volte un lume ch'io scorgo da lontano e che non possoraggiungere mai. Anzi mi pare che s'io fossi con tutto il corpo dentro la fossa, e che rimanessi sopra terra solamente col capo, mi vedrei sempre quel lume sfolgorare sugli occhi. O Gloria! tu mi corri sempredinanzi, e così mi lusinghi a un viaggio a cui le mie piante non reggono più. Ma dal giorno che tu più non seila mia sola e prima passione, il tuo risplendente fantasma comincia a spegnersi e a barcollare - cade e sirisolve in un mucchio d'ossa e di ceneri fra le quali io veggio sfavillar tratto tratto alcuni languidi raggi; maben presto io passerò camminando sopra il tuo scheletro, sorridendo della mia delusa ambizione. - Quantevolte vergognando di morire ignoto al mio secolo ho accarezzato io medesimo le mie angosce mentre misentiva tutto il bisogno e il coraggio di terminarle! Né avrei forse sopravvissuto alla mia patria, se non miavesse rattenuto il folle timore, che la pietra posta sopra il mio cadavere non seppellisse ad un tempo il mionome. Lo confesso; sovente ho guardato con una specie di compiacenza le miserie d'Italia, poiché mi pareache la fortuna e il mio ardire riserbassero forse anche a me il merito di liberarla. Io lo diceva jer sera alParini - addio: ecco il messo del banchiere che viene a pigliar questa lettera; e il foglio tutto pieno mi dice di finire. - Pur ho a dirti ancora assai cose: protrarrò di spedirtela sino a sabbato; e continuerò a scriverti. Dopotanti anni di sì affettuosa e leale amicizia, eccoci, e forse eternamente, disgiunti. A me non resta altroconforto che di gemere teco scrivendoti; e così mi libero alquanto da' miei pensieri; e la mia solitudinediventa assai meno spaventosa. Sai quante notti io mi risveglio, e m'alzo, e aggirandomi lentamente per lestanze t'invoco! siedo e ti scrivo; e quelle carte sono tutte macchiate di pianto e piene de' miei pietosi delirj ede' miei feroci proponimenti. Ma non mi dà il cuore d'inviartele. Ne serbo taluna, e molte ne brucio. Quandopoi il Cielo mi manda questi momenti di calma, io ti scrivo con quanto più di fermezza mi è possibile pernon contristarti del mio immenso dolore. Né mi stancherò di scriverti; tutt'altro conforto è perduto; né tu,43mio Lorenzo, ti stancherai di leggere queste carte ch'io senza vanità, senza studio e senza rossore ti hosempre scritto ne' sommi piaceri e ne' sommi dolori dell'anima mia. Serbale. Presento che un dì ti sarannonecessarie per vivere, almeno come potrai, col tuo Jacopo.Jer sera dunque io passeggiava con quel vecchio venerando nel sobborgo orientale della città sotto unboschetto di tigli. Egli si sosteneva da una parte sul mio braccio, dall'altra sul suo bastone: e talora guardavagli storpj suoi piedi, e poi senza dire parola volgevasi a me, quasi si dolesse di quella sua infermità, e miringraziasse della pazienza con la quale io lo accompagnava. S'assise sopra uno di que' sedili ed io con lui: ilsuo servo ci stava poco discosto. Il Parini è il personaggio più dignitoso e più eloquente ch'io m'abbia maiconosciuto; e d'altronde un profondo, generoso, meditato dolore a chi non dà somma eloquenza? Mi parlò alungo della sua patria, e fremeva e per le antiche tirannidi e per la nuova licenza. Le lettere prostituite; tuttele passioni languenti e degenerate in una indolente vilissima corruzione: non più la sacra ospitalità, non labenevolenza, non più l'amore figliale - e poi mi tesseva gli annali recenti, e i delitti di tanti uomiciattoli ch'iodegnerei di nominare, se le loro scelleraggini mostrassero il vigore d'animo, non dirò di Silla e di Catilina,ma di quegli animosi masnadieri che affrontano il misfatto quantunque e' si vedano presso il patibolo - maladroncelli, tremanti, saccenti - più onesto insomma è tacerne. - A quelle parole io m'infiammava di unsovrumano furore, e sorgeva gridando: Ché non si tenta? morremo? ma frutterà dal nostro sangue ilvendicatore. - Egli mi guardò attonito: gli occhi miei in quel dubbio chiarore scintillavano spaventosi, e ilmio dimesso e pallido aspetto si rialzò con aria minaccevole - io taceva, ma si sentiva ancora un fremitorumoreggiare cupamente dentro il mio petto. E ripresi: Non avremo salute mai? ah se gli uomini siconducessero sempre al fianco la morte, non servirebbero sì vilmente. - Il Parini non apria bocca; mastringendomi il braccio, mi guardava ogni ora più fisso. Poi mi trasse, come accennandomi perch'io tornassia sedermi: E pensi, tu, proruppe, che s'io discernessi un barlume di libertà, mi perderei ad onta della miainferma vecchiaja in questi vani lamenti? o giovine degno di patria più grata! se non puoi spegnere quel tuoardore fatale, ché non lo volgi ad altre passioni?Allora io guardai nel passato - allora io mi voltava avidamente al futuro, ma io errava sempre nel vano e lemie braccia tornavano deluse senza pur mai stringere nulla; e conobbi tutta tutta la disperazione del miostato. Narrai a quel generoso Italiano la storia delle mie passioni, e gli dipinsi Teresa come uno di que' genjcelesti i quali par che discendano a illuminare la stanza tenebrosa di questa vita. E alle mie parole e al miopianto, il vecchio pietoso più volte sospirò dal cuore profondo. - No, io gli dissi, non veggo più che ilsepolcro: sono figlio di madre affettuosa e benefica; spesse volte mi sembrò di vederla calcare tremando lemie pedate e seguirmi fino a sommo il monte, donde io stava per diruparmi, e mentre era quasi con tutto ilcorpo abbandonato nell'aria - essa afferravami per la falda delle vesti, e mi ritraeva, ed io volgendomi nonudiva più che il suo pianto. Pure s'ella - spiasse tutti gli occulti miei guai, implorerebbe ella stessa dal Cieloil termine degli ansiosi miei giorni. Ma l'unica fiamma vitale che anima ancora questo travagliato mio corpo,è la speranza di tentare la libertà della patria. - Egli sorrise mestamente; e poiché s'accorse che la mia voceinfiochiva, e i miei sguardi si abbassavano immoti sul suolo, ricominciò: - Forse questo tuo furore di gloriapotrebbe trarti a difficili imprese; ma - credimi; la fama degli eroi spetta un quarto alla loro audacia; duequarti alla sorte; e l'altro quarto a' loro delitti. Pur se ti reputi bastevolmente fortunato e crudele per aspirarea questa gloria, pensi tu che i tempi te ne porgano i mezzi? I gemiti di tutte le età, e questo giogo della nostrapatria non ti hanno per anco insegnato che non si dee aspettare libertà dallo straniero? Chiunque s'intricanelle faccende di un paese conquistato non ritrae che il pubblico danno, e la propria infamia. Quando edoveri e diritti stanno su la punta della spada, il forte scrive le leggi col sangue e pretende il sacrificio dellavirtù. E allora? avrai tu la fama e il valore di Annibale che profugo cercava per l'universo un nemico alpopolo Romano? - Né ti sarà dato di essere giusto impunemente. Un giovine dritto e bollente di cuore, mapovero di ricchezze, ed incauto d'ingegno quale sei tu, sarà sempre o l'ordigno del fazioso, o la vittima delpotente. E dove tu nelle pubbliche cose possa preservarti incontaminato dalla comune bruttura, oh! tu saraialtamente laudato; ma spento poscia dal pugnale notturno della calunnia; la tua prigione sarà abbandonatada' tuoi amici, e il tuo sepolcro degnato appena di un secreto sospiro. - Ma poniamo che tu superando e laprepotenza degli stranieri e la malignità de' tuoi concittadini e la corruzione de' tempi, potessi aspirare al tuointento; di'? spargerai tutto il sangue col quale conviene nutrire una nascente repubblica? arderai le tue casecon le faci della guerra civile? unirai col terrore i partiti? spegnerai con la morte le opinioni? adeguerai conle stragi le fortune? ma se tu cadi tra via, vediti esecrato dagli uni come demagogo, dagli altri come tiranno.Gli amori della moltitudine sono brevi ed infausti; giudica, più che dall'intento, dalla fortuna; chiama virtù il44delitto utile, e scelleraggine l'onestà che le pare dannosa; e per avere i suoi plausi, conviene o atterrirla, oingrassarla, e ingannarla sempre. E ciò sia. Potrai tu allora inorgoglito dalla sterminata fortuna reprimere inte la libidine del supremo potere che ti sarà fomentata e dal sentimento della tua superiorità, e dellaconoscenza del comune avvilimento? I mortali sono naturalmente schiavi, naturalmente tiranni,naturalmente ciechi. Intento tu allora a puntellare il tuo trono, di filosofo saresti fatto tiranno; e per pochianni di possanza e di tremore, avresti perduta la tua pace, e confuso il tuo nome fra la immensa turba deidespoti. - Ti avanza ancora un seggio fra' capitani; il quale si afferra per mezzo di un ardire feroce, di unaavidità che rapisce per profondere, e spesso di una viltà per cui si lambe la mano che t'aita a salire. Ma - ofigliuolo! l'umanità geme al nascere di un conquistatore; e non ha per conforto se non la speranza disorridere su la sua bara. -Tacque - ed io dopo lunghissimo silenzio esclamai: O Cocceo Nerva! tu almeno sapevi morireincontaminato 17. - Il vecchio mi guardò - Se tu né speri, né temi fuori di questo mondo - e mi stringeva lamano - ma io! - Alzò gli occhi al Cielo, e quella severa sua fisionomia si raddolciva di soave conforto, comes'ei lassù contemplasse tutte le tue speranze. - Intesi un calpestio che s'avanzava verso di noi; e poi travidigente fra' tiglj; ci rizzammo; e l'accompagnai sino alle sue stanze.

Ah s'io non mi sentissi oramai spento quel fuoco celeste che nel tempo della fresca mia gioventù spargevaraggi su tutte le cose che mi stavano intorno, mentre oggi vo brancolando in una vota oscurità! s'io potessiavere un tetto ove dormire sicuro; se non mi fosse conteso di rinselvarmi fra le ombre del mio romitorio; seun amore disperato che la mia ragione combatte sempre, e che non può vincere mai - questo amore ch'io celoa me stesso, ma che riarde ogni giorno e che s'è fatto onnipotente, immortale - ahi! la Natura ci ha dotati diquesta passione che è indomabile in noi forse più dell'istinto fatale della vita - se io potessi insommaimpetrare un anno solo di calma, il tuo povero amico vorrebbe sciogliere ancora un voto e poi morire. Io odola mia patria che grida: - SCRIVI CIÒ CHE VEDESTI. MANDERO LA MIA VOCE DALLE ROVINE, ETI DETTERÒ LA MIA STORIA. PIANGERANNO I SECOLI SU LA MIA SOLITUDINE; E LE GENTISI AMMAESTRERANNO NELLE MIE DISAVVENTURE. IL TEMPO ABBATTE IL FORTE: E IDELITTI DI SANGUE SONO LAVATI NEL SANGUE. - E tu lo sai, Lorenzo, avrei coraggio di scrivere;ma l'ingegno va morendo con le mie forze, e vedo che fra pochi mesi avrò fornito questo mio angosciosopellegrinaggio.Ma voi pochi sublimi animi che solitarj o perseguitati, su le antiche sciagure della nostra patria fremete, se icieli vi contendono di lottare contro la forza, perché almeno non raccontate alla posterità i nostri mali?Alzate la voce in nome di tutti, e dite al mondo: Che siamo sfortunati, ma né ciechi né vili; che non ci mancail coraggio, ma la possanza. - Se avete braccia in catene, perché inceppate da voi stessi anche il vostrointelletto di cui né i tiranni né la fortuna, arbitri d'ogni cosa, possono essere arbitri mai? Scrivete. Abbiatebensì compassione a' vostri concittadini, e non istigate vanamente le lor passioni politiche; ma sprezzatel'universalità de' vostri contemporanei: il genere umano d'oggi ha le frenesie e la debolezza delladecrepitezza; ma l'umano genere, appunto quand'è prossimo a morte, rinasce vigorosissimo. Scrivete a queiche verranno, e che soli saranno degni d'udirvi, e forti da vendicarvi. Perseguitate con la verità i vostripersecutori. E poi che non potete opprimerli, mentre vivono, co' pugnali, opprimeteli almeno con l'obbrobrioper tutti i secoli futuri. Se ad alcuni di voi è rapita la patria, la tranquillità, e le sostanze; se niuno osadivenire marito; se tutti paventano il dolce nome di padre, per non procreare nell'esilio e nel dolore nuovischiavi e nuovi infelici, perché mai accarezzate così vilmente la vita ignuda di tutti i piaceri? Perché non laconsecrate all'unico fantasma ch'è duce degli uomini generosi, la gloria? Giudicherete l'Europa vivente, e lavostra sentenza illuminerà le genti avvenire. L'umana viltà vi mostra terrori e pericoli; ma voi siete forseimmortali? fra l'avvilimento delle carceri e de' supplicj v'innalzerete sovra il potente, e il suo futuro contro divoi accrescerà il suo vituperio e la vostra fama.

 

 

 

----------------------------------------------------------------------------------------

Luogo:  Milano, attuali Giardini pubblici di Porta Venezia.

Personaggi: Jacopo Ortis e Giuseppe Parini

Vicenda: I due discutono degli eventi contemporanei della Penisola.

Premessa

Il giovane Jacopo è un patriota, innamorato perdutamente della fanciulla promessa ad un altro, infelice entusiasta della prima ora dell’epopea napoleonica, salvo poi capire la tirannide che si celava nelle promesse lusinghiere del generale corso all’indomani del tradimento del Trattato di Campoformio, se volessimo trovare l’esempio di un altro giovane scapestrato nella letteratura italiana, sebbene sotto altri panni, condizioni e animo, potremmo dire che Jacopo è il precursore del Renzo Tramaglino di manzoniana memoria.

Così come era ispirato al Werther goethiano, così ispira il popolano viscerale della storia secentesca più famosa della letteratura, ma è sostanzialmente differente sia dall’eroe tragico tedesco sia dal poi redento epigono.

 

Parini martire della libertà per i contemporanei e i posteri

Foscolo immagina di fare incontrare il giovane sotto cui si cela egli stesso e il più famoso poeta italiano allora vivente, Giuseppe Parini (il pù famoso eccettuato Monti, il quale, però, viveva di fama ambigua per quanto ambigua è stata la sua lunga ondiscendenza al potere).

Che la scelta del Parini come modello di vita poetica avesse le sue buone ragioni è testimoniato dalla coeva e postera fortuna che il suo esempio ha generato e l’immediata assimilazione del nome del brianzolo a poeta libero, indipendente e buono.

Foscolo parla di Parini anche nel Dei Sepolcri, allorquando attacca coloro che hanno oltraggiato la vita e la memoria di un così grande italiano gettandone il corpo nelle fosse comuni (causa scoppio epidemia).

 

Per Parini la fama di martire della libertà e della moralità pubblica e privata è consacrata anche nel giovane Leopardi che dedica a Parini prima i versi dell’ode Sopra il monumento di Dante e poi un’intero capitolo delle Operette che sottotitolavano significativamente “ovvero della gloria”.

 

Anche Manzoni esalta le virtù civiche di Parini nel suo Epistolario quando, nella lettera del 9 Febbraio 1806 (la prima del carteggio con Claude Fauriel) egli chiama il poeta "sommo uomo" riferendo la sua migliore qualità, quella di meditare su ciò che è e su ciò che dovrebbe essere.

 

Per sintetizzare dunque diremo che Parini (e Alfieri) rappresentano la moralità pubblica e privata (anche se in modo diverso) mentre Monti rappresentava il poeta mercenario, servo del potere (prima di quello papale, poi di quello napoleonico).

 

La vicenda

 

Sequenza narrativa: i due passeggiano nel parco, Parini è vecchio e dolorante ai piedi. Si siedono.

Il Parini è il personaggio più dignitoso e più eloquente ch’io m’abbia mai conosciuto;

La dignità e l’eloquenza sono le virtù principali che il giovane allievo riconosce al vecchio insegnante.

Dignità ed eloquenza che erano valori perduti, in quel frangente storico (e, ahimé, se quel frangente somiglia a questo nostro!!!).

Le lettere prostituite; tutte le passioni languenti e degenerate in una indolente vilissima corruzione: non più la sacra ospitalità, non la benevolenza, non più l’amore figliale …

Accusa durissima, diremmo quasi di potenza dantesca. Cosa sia l’Italia è facile dirlo, corruzione, parola dai mille aggettivi, cosa abbia perso dimostra l’amore a la conoscenza del mondo antico da parte dell’autore. Che l’ospitalità sia sacra lo scriveva già Omero, che la benevolenza sia auspicabile qualunque uomo sensato…

 

Topos letterari

 

Diversi sono i topos letterari presenti nella lettera (e nell'opera tutta), segno di reverenza da parte di Foscolo per la tradizione italiana ma anche segno di difesa della stessa.

Ad esempio nel passaggio "morremo? ma frutterà dal nostro sangue il vendicatore" si ha il ricordo della Didone virgiliana che invoca il vendicatore del suo oltraggio.

"e le mie braccia tornavano deluse senza pur mai stringere nulla", ricorda Dante quando voleva abbracciare le anime nella Commedia.

 


Ultimo aggiornamento (Giovedì 22 Novembre 2012 10:37)