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La seconda rivoluzione america


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Questo articolo lo scrissi 4 anni fa, nella notte delle elezioni, consultando di ora in ora gli exit poll.

L'ho stampato, con altri saggi, in Weltanshaaung.

Ora lo pubblico sul blog poco prima delle prossime elezioni, per buon auspicio.

 

LA SECONDA RIVOLUZIONE AMERICANA

(LA SFIDA ELETTORALE TRA IL RIVOLUZIONARIO OBAMA ED IL VETERANO MC CAIN)

 

 

Questo breve saggio, iniziato la notte del 4 Novembre, in attesa dei risultati per la Presidenza americana dei prossimi quattro anni, è scritto significativamente per evidenziare la grandiosità di un evento, di luoghi e di un personaggio. Il ritorno della gente a sentirsi nazione, popolo, uniti e sereni contro la crisi ed in ricerca di un futuro dove gli ideali moderni (fantasmi, illusioni o meglio slogan attira – voti) ritornino forti e principali. Elementi esclusivi delle scelte e del corso degli eventi delle vite degli uomini di una comunità.

Ed in tempi di Internet e di globalizzazione non siamo tutti, noi uomini, una grandissima, infinita comunità?

L’elezione del Presidente degli Stati Uniti d’America, per gli alleati, gli amici, i nemici di quella nazione, è comunque un evento non senza riscontri. Oggi, poi, che la crisi economica, morale, sociale, politica del pianeta si è manifestata violentemente per l’assenza o la pochezza o, per meglio dire, le colpe della nazione statunitense, ebbene queste elezioni dovrebbero essere da più parti attese come “liberatorie” e comunque “originali”. Ovvero molti si aspettano che dia un Presidente che torni a fare il Presidente, che si senta investito dal popolo e per il popolo governi, che si senta responsabile delle sorti del mondo e per esso pianifichi e progetti. Tutto il disastroso periodo di George W. Bush si chiude oggi: l’11 Settembre, Bin Laden, la guerra al Terrorismo, la guerra per portare la democrazia ecc … Il repubblicano ha praticamente fatto errori così macroscopici da risultare, si può ritenere con una certa fortuna di intuire la concordanza coi fatti, profondamente inviso a quella classe media americana che ha contribuito ad impoverire ed a parte dell’alta finanza e degli ambienti economici per l’incapacità di prevedere i forti sbalzi dei titoli quotati, le strategie in campo energetico, la crisi irachena irrisolta ecc … Bush dunque ha mortificato un paese, gli ha dato un’età del panico dalla quale deve assolutamente uscire ed ha accelerato processi di disintegrazione e di isolamento degli Stati Uniti nei simposi e nei dibattiti internazionali. Ma allora, come ha fatto Bush non solo a vincere nel 1996 ma a confermarsi nel 2000? Nel 1996 si votava dopo l’ultimo mandato di Bill Clinton, travolto dallo scandalo ben noto. Così affossati i democratici, nella loro perdizione morale, in un paese poi così estetico, così puritano come gli Stati Uniti, quale miracolo avrebbero dovuto fare non per vincere ma almeno per contendere seriamente la vittoria al senatore del Texas? Cosa avrebbe potuto fare Kerry?

Nel 2000, d’altronde, nonostante le scempiaggini amministrative interne e la dissennatezza delle decisioni della guerra al terrorismo e l’intervento in Iraq, come si può perdere negli Stati Uniti d’America una campagna elettorale quando il tema centrale di essa è la guerra come sentimento nazionale, come unità del paese davanti alla minaccia esterna? Cosa poteva fare Al Gore con i suoi vaghi temi ambientalisti in un paese dove l’economia bellica, la cultura violenta e bellicosa, sono coltivate come valori indissolubile dell’essere americani?

Ora i due candidati, Barack Obama e John Mc Cain, si sono presentati in questo periodo di crisi come “la soluzione”, la chiave di volta. – Votatemi perché risolleverò l’economia e la cultura americana e farò tornare grande il nostro paese e lo farò rispettare nel mondo! -. C’è qualcosa di visceralmente patetico eppure genuino, patriottico in tutto ciò. Eppure la sfida di queste elezioni, da tutti presentate come “epiche”, “leggendarie”, “storiche” hanno una varietà di interessi che cercheremo di affrontare nel corso delle nostre meditazioni.

Il New York Times intitola, all’1:18: Polls Begin Closing in Final Hours of Epic Campaign.

La CNN dibatte. Dalle prime proiezioni Mc Cain è in vantaggio. Ad Obama il Vermont (3 elettori) all’avversario il Kentucky (8 elettori). Obama deve tenere testa in questi stati. Questi stati sono infatti storiche roccaforti repubblicane.

Il problema è chiedersi: c’è in uno dei due candidati la soluzione reale alla crisi? In chi? Perché?

Il popolo americano è influenzabile, televisivo. I mezzi di comunicazione sono capaci di orientarlo in maniera definitiva anche all’ultimo giorno od all’ultima ora. Eppure in questi tempi l’affluenza, dati rilevanti pare, e la povertà fanno pensare che l’elezione di un buon Presidente sia l’unica speranza di un domani migliore.

La storia dell’elezione presidenziale in America è varia e complessa. Basterà dire dell’elezione di Abraham Lincoln, di Mc Kinley (2° mandato), di Theodor Roosvelt e Franklin Delano Roosvelt. E di storie di elezioni combattute fino all’ultimo stato, senza andare lontano, abbiamo le ultime elezioni: Bush superò Kerry in seguito ad un voto difficoltoso in Florida. Si contarono a mano le schede. Queste anomalie fecero scandalo in un paese dove tutto è tecnologico. Alcuni sospettarono brogli, come al solito.

Le elezioni italiane sono di più semplice lettura, grazie al cielo; da noi le schede truccate vengono facilmente ritrovate nell’immondizia del quartiere (vedi vittoria Berlusconi).

Sembrerebbe inutile ma conoscendo gli interventi che nelle nostre trasmissioni più politiche (dirle autenticamente politiche è un’operazione di forzatura della mia anima che mi repelle), cercherò di spiegare al meglio perché io ritengo che queste elezioni siano storiche.

 

 


I Candidati

Vita privata e rappresentatività

John Mc Cain nato nel 1936 vicino al Canale di Panama. Nato dal colonialismo americano ne rappresenta lo spirito. Figlio di militari, militare egli stesso, reduce del Vietnam dove è stato cinque anni e mezzo prigioniero della guerriglia dei vietcong. Un uomo, dunque, inquadrato e temprato. Ferreo, roccioso. L’ “uomo forte” di cui spesso si invaghisce la folla. Ma vecchio, tanto vecchio da sembrare stanco. Stanchezza che ha ottenebrato ed ottenebra anche la virtù della saggezza.

Barack Obama ha, invece, avuto una vita più combattuta, più dura. Oltre alle vicende personali non ha avuto “la strada spianata” ma vissuto sempre in provincia si è affacciato solo più tardi all’ambiente cittadino – metropolitano rimanendo, in cuor suo, comunque ancora radicato in un sentimento più schietto e diretto. Appartiene al popolo. Ad un popolo più particolare, come vedremo.

Mc Cain a Phoenix (Arizona) ed Obama a Chicago (Michigan) hanno la propria roccaforte in due feudi assoluti dei loro partiti.

L’uno è rappresentante dell’amministrazione vecchia maniera, l’altro di gente umile che “si è fatta da sola”. Obama rappresenta l’uomo medio, l’uomo qualunque, il ragazzo volenteroso che con la propria capacità e perché l’America è la terra delle opportunità per tutti è riuscito a realizzarsi.

Uno è la sicurezza di un capo, l’altro la speranza di una nuova cultura ed di una nuova sensibilità generazionale. L’inesperienza al comando però gioca contro il senatore dell’Illinois.

I due candidati, dunque, si rivolgono ad un pubblico diverso. Per età, estrazione sociale, sesso, religione, razza, cultura.

I due candidati hanno lessici diversi; hanno simboli diversi; hanno atteggiamenti diversi. Il generale è bravo ad attaccare. L’altro a convincere.

 

Età

La prima grande novità, allora, è rappresentata dall’età. Mc Cain del 1936 (82 anni), Obama del 1961 (47 anni). Tra i due una differenza di 35 anni, una generazione esatta.

Facciamo un breve ma significativa cronistoria.

1954: Eisenhower (1890) sconfisse Adlai Stevenson (1900)

1958: John F. Kennedy (1917) vinse contro Nixon (1913)

1962: Johnson (1908) batté Goldwater (1909).

1968: H. Humphrey (1911) perse contro Nixon (1913)

1972: George McGovern (1922) perse miseramente contro Richard Nixon (1913)

1976: Gerald Ford (1913) contro Jimmy Carter (1924)

1980: Jimmy Carter (1924) contro Ronald W. Regan (1911).

1984: Ronald Wilson Reagan (1911) sfida e vince Walker M. Mondale (1928) forse la più drammatica elezione per un candidato democratico.

Nel 1988 George H. W. Bush (1924) vinceva il candidato democratico Dukakis (1933).

Bisogna tornare, non molti, alcuni anni indietro. Nel 1992 George Hebert Walker Bush (1924) aveva 68 anni mentre Bill Clinton (1946) ne aveva 46.

Nel 1996 Clinton, ora di 50 anni, batté facilmente Bob Dole (anch’egli del 1924) di 72 anni.

Elezioni 2000: George W. Bush (1946) di 54 anni vince il coetaneo Al Gore (1948) di 52 anni.

Elezioni quattro anni più tardi: 2004. Ancora George W. Bush, ora di 58 anni, vince stavolta su John Kerry (1945) ne contava 57.

Questo per dimostrare che per la prima volta la differenza di età tra i candidati è così evidente e di notevole entità che ha inciso sul giudizio dell’elettorato in maniera precisa. Se analizziamo gli exit poll possiamo notare (cfr. il sito della CNN e del NYTIMES) che l’età dei votanti è sostanzialmente divisa, scissa (fatti salvi quegli Stati in cui la tendenza è così radicata da non essere importante la differenza di età). L’età dei votanti ci indica la simpatia e preferenza verso un certo tipo di politica, verso certe aspettative che si nutrono verso la politica. L’incitamento al “cambiamento”, questa parola magica ed affascinante ha avuto presa perché detta da un giovane a dei giovani. Un po’ come successe che si accese il cuore della gioventù cristiana all’elezione di Giovanni Paolo II. Obama può essere un grande e buon personaggio della politica mondiale. E’ sicuramente una promessa, una speranza.

Estrazione sociale e cultura

Il benestante Mc Cain ha una estrazione sociale media, una cultura pienamente “americana”.

Il giovane Obama è di più miseri natali, rappresenta un povero “fortunato”. Si è formato con gli studi ed eccellendo a scuola avendo visto nella scuola lo strumento più diretto per basare la vita su basi più solide ed autentiche. Anzi, il senatore dell’Illinois ha studiato, si è acculturato.

 

Razza

Ma la svolta storica, per chi conosca l’intolleranza di certi stati e strati della popolazione americana, la svolta storica è appunto la questione razziale. Obama che lo si voglia definire nero o afro-americano è di colore. E questa è la più grande rivoluzione che ha portato. Stranamente è stato un repubblicano come Lincoln a dare la libertà ai neri d’America. Se lo vedesse ne sarebbe orgoglioso. Come se lo vedesse Martin Luther King.

Kennedy è stato il primo presidente cattolico eletto anche con i voti delle minoranze. Obama con i voti delle minoranze, e non solo, ha fatto un capolavoro politico. La salita comincia ora, però.

(Ricordo tanti anni fa a Sanremo un giovane gruppo veneziano, i Pittura Fresca, con una canzone polemica ma simpatica “Papa Nero”).

 

 

 

 

La critica italiana

Che Bruno Vespa abbia fatto una trasmissione in diretta sull’elezione, con Barack Obama vincitore, è stata una perdita di tempo che ho voluto evitare. Ho seguito in diretta la CNN. Esperienza costruttiva.

Gianni Riotta, direttore Rai, mercoledì 5 Novembre (l’indomani l’elezione), sta facendo una trasmissione anomala, fuori dal comune. Parla del miracolo Obama e lo ridicolizza, chiedendo ai suoi interlocutori se si sono emozionati, cercando di salvare gli otto anni di George Bush e dimostrando la sua faziosità. Io vorrei che di un politico italiano, di un giornalista si possa capire il proprio pensiero proponendo cose nuove e non cianciando sugli altri. Vorrebbe, il direttore, fare un’analisi più scientifica, più distaccata da quel viscerale, intimo sentimento entusiastico che fa di Obama il “salvatore della patria”. I tempi di crisi vogliono un salvatore, in senso ora religioso ora politico. Che Obama lo sia non tutti sono d’accordo. Ma il miracolo di un figlio di immigrati è stato così evidente ed imponderabile che ci si deve lasciare trasportare da un nuovo entusiasmo. Non certo insensato. Eppure la svolta, la novità (non cambia solo il colore della pelle ma le parole ed il pensiero dell’uomo) sono particolarmente fondanti un nuovo mondo di intendere politica, società e, se non lo si concepirà come un iperbole, stile di vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lucio Caracciolo, direttore di Limes (rivista che tratta della scienza “politica”) ha risposto, alla domanda del direttore Riotta, come la storia giudicherà George W. Bush: - Come colui che ha permesso la vittoria di Obama! -. Giusta analisi. Senza Bush ed il suo imbarazzante bullismo non avremmo avuto il consolidamento di voti “variegati” sul candidato nero. Lo stesso motivo che ha permesso il facile ritorno di Berlusconi dopo lo straziante governo Prodi.

Tutti i politici italiani, meno Gasparri (un polemico tra destra e sinistra in Italia si trova sempre), hanno accolto chi più calorosamente chi meno questa notizia. Le elezioni americane sono state importante per il mondo, interrompono un ciclo politico (come quello repubblicano – di solido aggressivo e guerrafondaio cioè l’elettorato americano ha capito che non si esce dalla crisi con la guerra, dimostrazione del tutto diversa rispetto alle considerazioni sulla prima e seconda guerra mondiale (leggi Keynes e letteratura economica del periodo). Pensare che il mondo, in conseguenza cambierà è ragionevole, sperare che lo facciano i governi locali e nazionali è pura pazzia. Così Veltroni. Egli che è stato il Mc Cain delle ultime elezioni, ha pagato l’impopolarità di Prodi, la divisione della sinistra che ha cercato di riunire ma ha così eliminato dal Parlamento la Sinistra estrema (che in questi giorni crea tensioni sociali). Da noi si sta sfiorando la guerra civile mentre, dopo i temi e le aspre parole, in America il post elezioni è all’insegna del fair play.

La lezione che Obama ha dato al mondo è solo la prima. Spero che si scelga giusti collaboratori per sopperire alla mancanza di esperienza internazionale. Sicuramente servirà tutto quel coraggio e quella sicurezza che ha ostentato in campagna elettorale.

 

Gli Stati

 

 

 

 

 

 

Come ogni svolta storica o leggendaria l’elezione del 44° Presidente non è stato un parto facile.

Obama ha vinto in 28 Stati, Mc Cain in 22.

Nel 2004 Bush (da qui la sua proverbiale spocchia?) aveva vinto ancora più nettamente per il numero degli States a favore: 31. L’elezione però del Presidente degli Stati Uniti è un’operazione complessa.

Si vota in 50 Stati che hanno però ognuno una propria forza elettorale. Per cui ci sono Stati che danno diritto a tre delegati e sono gli Stati più miseri ai fini della vittoria: Montana, North e South Dakota, Wyoming ed Alaska ( 5 Stati da 3 delegati – Mc Cain in 5 dei suoi 22 Stati ha raccolto 15 delegati) Delaware, Vermont e Washington DC per Obama. Lo Stato più influente è il West Coast, la California, che da diritto a ben 55 delegati. Lì ha vinto Obama. Ma la sola California, se è un forte indirizzo, non basterebbe a sé stante. Tanto più che la forza successiva, il Texas (33 delegati) è andato ai repubblicani. (Ci sono terre come Alabama, Texas, Arizona, Mississipi dove i miracoli non bastano? Devono essere consistenti? Sono feudi repubblicani, vecchia storia, o meglio colpa di Lincoln e Lyndon Johnson ovvero il repubblicano che ha cominciato a praticare il concetto di libertà ed uguaglianza da noi europei ancora tanto declamato ed il democratico successore di Kennedy che lo ha ulteriormente ampliato). New York (31) Florida (27) una sorpresa, ricordate i 7.000 voti in più per Bush?, Pennsylvania (21) ed Ohio (20) sono poi i quattro stati più fruttanti. Tutti per il cambiamento di Obama.

In cinque stati del Middle West Mc Cain ha raccolto 15 deputati, in quattro stati (3 del North East ed uno del South East) Obama ne ha raccolti 99.

In più è riuscito a convogliare il riscatto sociale e materiale di stati tendenzialmente repubblicani come New Mexico Nevada e Colorado (avvicinando le minoranze spagnole) e la repubblicanissima Virginia. Pare sia a lui assegnato anche il North Carolina. Il capolavoro, l’ultimo giorno di campagna elettorale, di quel viaggio in Indiana, le regioni del lago (già democratiche) ed il suo feudo (il North End) con in prima fila il Massachusetts.

Tutto il discredito di Bush ha pesantemente condizionato i giochi. L’indice di gradimento del Presidente (qualcosa che avvicina la politica americana al Grande Fratello, ad uno spettacolo teatrale ma che vorrebbe essere la piena coscienza del potere “delegato” dal popolo ad uno solo) è pari al 22%. Come Jimmi Carter, poi tanto amato, giustificava il direttore del Tg Uno in trasmissione.

 

 


Conclusioni

 

Chiamatela “di rito”, “di facciata”, ma la conferenza con la quale questi americani vinti si congratulano con il vincitore ha un pathos ed un ethos tutto proprio, straordinario.

Mc Cain’s concedes. Awaiting remarks from Sen. Obama”, titolano.

Che cavalleria da altri tempi! Che discorso, quello di Mc Cain! Il patriottismo, alla fine, riesce ad avvicinare i partiti, l’intelligenza dei suoi politici stempera gli animi dei più accesi della propria fazione.

Sono contento di avere assistito alla storia. Tanto contento che ho mandato alla CNN il seguente messaggio: - Barack Obama is the truth of american dream -. Sono contento di avere parteggiato per quest’uomo che un po’ di miracoli è, ancora da senatore, riuscito a compierli.

Con tutto ciò se i due candidati ostentavano sicurezza di rappresentare la soluzione ai problemi d’America e del mondo essi rappresentavano una soluzione diversa. E’ stato un grande sforzo candidarsi e farsi eleggere. Ma portare la nuova idea di America nel mondo ed in patria e la nuova avventura, la nuova sfida che oggi Barack Obama è chiamato ad affrontare per rispondere ai molti che hanno riposto fiducia in lui ed hanno risposto al suo annuncio: - Yes, we can! -.

Il mio dubbio, tra queste due certezze, era rappresentato da questi difetti: Mc Cain era portavoce di un mondo vecchio, di idee vecchie; sarebbe stato un passo indietro. Obama da questo punto di vista è invece un passo avanti ma concentra in sé l’inesperienza, soprattutto per un carica così importante. Sarà influenzabile? Sarà avventato? Ricordo bene gli errori tragici dell’allora giovane John F. Kennedy (guerra fredda, guerra del Vietnam con lui iniziata).

Ora il dubbio di chi guiderà l’America è sciolto. Molti, me compreso, ci speravano. Ora però tocca sapere fare la propria parte con un senso altissimo di responsabilità.

Auguro a questo visionario rivoluzionario un buon lavoro di pace, giustizia e concordia civile.

Ultimo aggiornamento (Mercoledì 28 Novembre 2012 13:22)