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Home Home Blog Blog GIACOMO LEOPARDI E I CANTI, L'ADDIO ALLA POESIA ANTICA E L'INIZIO DELLA POETICA MODERNA

GIACOMO LEOPARDI E I CANTI, L'ADDIO ALLA POESIA ANTICA E L'INIZIO DELLA POETICA MODERNA


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CANTI

 

I Canti hanno avuto tre edizioni: la prima, nel 1831 per l’editore Piatti di Firenze conteneva 23 componimenti; la seconda, nel 1835, per l’editore napoletano ,Starita comprendeva 39 componimenti; un’ultima edizione, a poeta morto, nel 1845, per i tipi del fiorentino Le Monnier comprendeva le 41 poesie previste già dall’autore e curate da Ranieri e presentate da Giordani.

Il primo nucleo della raccolta comprende liriche giovanili sia nel metro che nel contenuto.

Si tratta innanzitutto di canzoni patriottiche, in cui la cultura classico e i miti greco-romani o le letture bibliche riecheggiano con insistenza e con appassionata voce.

Il classicismo viene difeso anche nelle immagini di guerra e di ardore soldatesco, sia che Leopardi si immaginasse alle Termopoli, dinnanzi a Virginia morente, a parlare con Tasso e Ariosto, a identificarsi con Bruto o con Saffo.

A questo classicismo così vivo, e non stereotipato, grigio, vizzoso e futile, come l’aveva dipinto la de Stael, Leopardi dà una linfa nuova e modernissima nell’ispirato titanismo byroniano che sa infondere ai suoi eroi.

I . ALL’ITALIA

 

La prosopopea che personifica l’Italia come una fanciulla schiava degli stranieri che piange le proprie sventure, non è un’invenzione leopardiana ma l’effetto che Leopardi conferisce a quest’immagine è insieme dolorosissimo e dignitosissimo.

La canzone, di otto strofe di venti versi di endecasillabi e settenari alternati con schema di rime irregolare, è un chiaro prestito petrarchesco.

L’elevazione ad alto esempio morale della storia della Grecia classica è svolto con tono lirico profondamente commosso, in forma elegiaca, ma mantenendo sempre la dignità e il contegno che avrebbe avuto il Simonide con cui egli si identifica.

Il titanismo eroico chiuso dalla morte alle Termopoli deve essere l’esempio seguito dagli italiani per riscattare la propria patria dal ricatto della servitù infida alle dominazioni straniere.

 

II. SOPRA IL MONIMENTO DI DANTE CHE SI PROPONEVA IN FIRENZE

La forma è petrarchesca, il motivo è dantesco, almeno inizialmente.

Prendendo spunto dall’iniziativa della città dei gigli di dedicare un’iscrizione al sommo poeta, Leopardi “parla” con Dante

Lamenta con loro l’iinsensatezza che ha portato gli Italiani a morire per le altrui insegne, quelle napoleoniche, in altrui suolo, in Russia, e deplora quell’esperienza. Se gli Italiani si sono svegliati, come aveva sognato nella prima canzone, si sono svegliati non per liberare l’Italia ma per seguire un tiranno.

Siamo ancora nella tradizione petrarchesca delle stanze dallo stesso numero di versi. 12 le stanze per 17 versi, per la canzone più lunga della prima stagione leopardiana.

III. AD ANGELO MAI, QUAND’EBBE RITROVATO I LIBRI DELLA REPUBBLICA DI CICERONE

Dopo la personificazione dell’Italia e il dialogo con i grandi del passato c’è, finalmente, l’intervento, l’esaltazione e il dialogo con un uomo contemporaneo a Giacomo, un uomo che sembra “antico” per virtù, quello scopritor famoso che ha rinnovato le grandi gesta antiche (letterariamente) e si poneva come sprone non più solo retorico ma vivo e in carne ed ossa, degno di essere additato a tutti, ai giovani.

Il commosso rievocare i grandi miti storico-letterari dell’Italia preottocentesca, Colombo, Ariosto, Tasso, Alfieri…

Di Tasso, soprattutto, Leopardi si sentiva consorte; è la sua, la memoria più accalorata.

Il metro è quello regolare di 15 versi per ognuna delle 11 stanze; gli endecasillabi e i settenari, come abitualmente, si mischiano; gli ultimi due versi hanno rima baciata.

 

IV. PER LE NOZZE DELLA SORELLA PAOLINA

Leopardi scende ancora, scavando dentro se stesso, sino ad arrivare al suo circuito familiare, all’amata sorella Paolina, il giorno delle nozze della quale è assunta dal poeta a rinnovatrice dei fasti femminili delle antiche donne che hanno fatto storia, specie quelle romane, una su tutte, la vergine Virginia che preferì pugnalarsi al soggiacere alle bramosie del tiranno.

Basterebbe questa sola canzone ad esplicare fortemente, al di là dell’affetto per il suo stesso sangue, l’amore che Leopardi aveva per le donne, per la figura della donna, riequibilatrice degli eccessi maschili.

Sette strofe di quindici versi ognuna, alternanza di endecasillabi sciolti e settenari.

V. AD UN VINCITORE NEL PALLONE

 

Il garzone bennato, più avanti detto buon garzone (e altrove garzoncello scherzoso), vincitore nel pallone è il terzo esempio di eroismo italico contemporaneo, dopo il cardinale e la sorella.

La veloce canzone di cinque strofe e 14 versi, sempre alternati, con gli ultimi a rima baciata e il quint’ultimo e il terz’ultimo in rima, è un elogio al vitalismo della gioventù. E se sulla gioventù Leopardi spenderà bel altre parole, sul vitalismo non ne saranno poi molte, dopo questa canzone.

Per cui questa vitalità, questo fare che anche nell’agone sportivo può motivare l’entusiasmo della rievocazione della battaglia maschia di Maratona e la ginnicità battagliera dei Greci, questa vitalità, si scoprirà alla fine non essere altro che un dimenticare la sciagurata vita.

Nostra vita a che val? Solo a spregiarla.

La beatitudine del ragazzo sta nello spingere il piede, perigliosamente, fino alle porte della morte e poi tornare indietro. Non è un attivismo costruttivo, dunque, il suo, ma l’incosciente sfida alla morte che il giovane sente di lanciare.