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ALCUNI APPUNTI SULL'INTERPRETAZIONE DEL CRISTIANESIMO NELLO ZIBALDONE DI GIACOMO LEOPARDI


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Quando Giacomo scriveva osservazioni sulla morale e sulla filosofia del cristianesimo, vi si ritrova un atteggiamento piuttosto polemico. Le cause sono le stesse che i manuali riportano con insistenza, l’odio del mondo, l’infelicità colle donne, i problemi fisici ecc…

Come nei pensieri 80-81[1].

Cosa si dirà di quest’astio di Leopardi? Che le cause sia importante rintracciarle è verissimo, che sia impossibile farlo altrettanto. Per quanto mi riguarda ritengo che si sia creato in lui un mix di sdegno per sé stesso e per il mondo tale da portarlo, egli pure che ha studiato da autodidatta molte lingue e persino l’ebraico, letto la Bibbia, conosciuto profondamente i Vangeli ecc…, si sia creato in lui, dicevo, un mix di infelicità e disillusione. Epperò questa è una pura illazione, una teoria bell’e buona come per due secoli si è indovinato.

Pure è meglio, per trarci da questi capricci da critichetti, arrivare al punto: cosa rimpreverà, il Recanatese, alla religione cristiana? L’ipocrisia.

L’affermazione iniziale è forte: “Si può osservare che il Cristianesimo, senza perciò fargli nessun torto, ha per un verso effettivamente peggiorato gli uomini”.

Il che saprebbe realmente di una novità sconcertante. Il peggioramento della razza umana è dovuta nientemeno che alla religione cristiana. Concetto, questo, che toglie originalità al filosofo tedesco che tanto ha osteggiato tale fede.

Dice in sostanza il Leopardi che “da quando il cristianesimo fu corrotto nei cuori…” le massime che andava cianciando, pace, amore, libertà e verità, oltre che la famosissima preposizione della fratellanza universale, erano idee così lontane dall’azione e dalla storia dei “cristiani” che hanno avvelenato il genere umano…

Non mi dilungherò, se non che, per grazia di Dio ho scritto un romanzetto sulla corruzione del Cristianesimo nel IV secolo, quando, sotto i colpi della persecuzione dioclezianea (con sospetta insistenza attuata da Galerio), persino i vescovi consegnavano i testi sacri. Di quest’epoca, si potrà, poi, dire che, concessa la libertà ai Cristiani e divenuta la religione un tutt’uno con la politica, ad opera di quel Costantino che io non gradisco, ebbene il cristianesimo si è cristallizzato nella società pagana dando origine ad un mondo peggiore dell’antico. Ché, se ammazzavano i consoli o i dittatori era coerente con la temibile religiosità pagana, se ammazzavano i Cristiani era un delitto maggiore, perché vi si aggiungeva l’ipocrisia di “predicare bene e razzolare male”.

Condividendo queste considerazioni che, forse, all’epoca del Leopardi dovevano suonare strane, ma oggi sono triti e ritriti argomenti da talk show, come è possibile che un grande poeta e un grande uomo come lui possa avere dimenticato, ché non voglio credere che abbia omesso, tutta quella vastissima galleria di santi morti in ogni dove, nell’impero, che anziché abiurare hanno creduto a Cristo e al Suo messaggio arrivando fin tanto a morire?

E non si dice bene, come in Agostino e praticamente in tutti i Padri della Chiesa, fino a Kierkegaard e Luzi che il sangue dei martiri cristiani è stata la più grande vittoria della storia? Che è stata la dolorosissima ma luminosissima rivoluzione di Dio nella storia dell’uomo?

E come si fa a dire che Dio non agisce nella storia quando i martiri cristiani hanno piegato le resistenze persino dell’esercito più forte del mondo?

Che il desiderio di giustizia ha prevalso sulla corruzione e sul nepotismo?

 

E ancora, la lettura di questo passo leopardiano acuisce in me il profondo dolore per una illogicità moderna (una delle tante) che mi tormenta da quando avevo sedici anni.

Adunque, come si può giudicare la verità di un’idea dagli uomini che la professano?

Se io andando a teatro veda la rappresentazione dell’Otello o ascolti una sonata di Beethoven, recitata quella o eseguita questa da attori infimi e incapaci o musici fuori tempo o eccessivamente leziosi, cosa dovrò io forse dire? Che schifo di tragedia! Che schifo di musica!

Poniamo che, dopo questa vile esperienza mi si costringa con le catene a rivedere quel medesimo teatro o ascoltare quell’istessa sinfonia, recitata stavolta da fior fior d’attori, quelli con la vis tragica nei polsi e il fuoco sacro nel petto, e ascoltando quelle note di pianoforte da abilissime mani composte e con passionalità tanto simile all’idea che quei pentagrammi rappresenterebbero, cosa dovrò, in primis, io pensare di me? Sbagliavo! L’opera Otello è una grande tragedia! La Nona tocca il cuore!

Perciò, tanto avviene anche per le idee che circolano nel mondo.

La di loro bontà non può essere testata attraverso gli uomini. Uomini diversi possono recitare bene un’idea cattiva e male un’idea buona e viceversa. Epperò io non cadrò mai in tanto inganno di mente e di pensiero.

La bontà dell’idea, dunque, è assoluta. Cosicché l’idea cristiana è la più grande ch’io conosca e dirò che San Vito martire l’ha intesa e l’ha ottimamente interpretata mentre un lapso no.

 

 

 

 

Altro punto focale è quello sul rapporto Cristianesimo-dolore[2]: Giacomo afferma infatti che tale dottrina religiosa, predicando la vanità della vita e l’inutilità di essa, abbia nociuto profondamente sia ad essa sia agli uomini, “laddove gli antichi come non doveano considerarla come cosa degna delle loro cure, se gli stessi Dei secondo la loro mitologia s'interessavano sì grandemente alle cose umane per se stesse…”.

A parte che questo Leopardi contraddice quel Leopardi che in altro luogo dissertava così:

 

e poi dall'altra parte,

Che te signora e fine

Credi tu data al Tutto, e quante volte

Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro

Granel di sabbia, il qual di terra ha nome,

Per tua cagion, dell'universe cose

Scender gli autori, e conversar sovente

Co' tuoi piacevolmente, e che i derisi

Sogni rinnovellando, ai saggi insulta

Fin la presente età, che in conoscenza

Ed in civil costume

Sembra tutte avanzar; qual moto allora,

Mortal prole infelice, o qual pensiero

Verso te finalmente il cor m'assale?

Non so se il riso o la pietà prevale.

Cosa maggior, tuttavia, che questa è il rifarsi ad una lettura del Cristianesimo che è errata. Se io seguo uno che va per una cattiva strada, a mia volta sbaglierò. Del Cristianesimo si è detto che è contro questa vita e solo proiettato all’altra (il che renderebbe vana non soltanto la vita degli uomini ma la stessa Creazione, cosa della quale lascio giudicare a voi se è cosa non dirò cristiana ma religiosa…); del Cristianesimo si è detto che è sommamente votato alla sofferenza e che chi più soffre più è con Dio (cosa che è tanto falsa quanto pericolosa! Basterebbe ricordare il passo de “il vostro dolore si muterà in gioia…” che è poi il senso della discesa di Cristo, della parabola della sua vita santa e del suo insegnamento, della Sua santa Passione e della Sua gloriosa Resurrezione!).

La vicinanza di Dio consola gli afflitti nei momenti bui dell’esistenza ma non è mai un andare incontro al dolore di per sé. Tale interpretazione è da riferirsi ad alcuni notevoli Santi i quali hanno scelto di dividere il dolore della Croce di Cristo cesellando la propria esistenza di misticismo e rinunce, ma esse rinunce non sono dolore ma gioia, per la vicinanza e immedesimazione con Cristo stesso.

Si è detto che il Cristianesimo salva tutti, perché votato incondizionatamente a perdonare; cosa falsissima, per la quale prego leggere lo stato di miseria umana prossima alla morte del figliuolo prima che tornasse alla casa paterna o la profonda contrizione, anch’essa prossima alla morte, della Maddalena, a cui Cristo dice: “Va e non peccare più!”.

Si è detto che il Cristianesimo pensi che l’umanità sia tutta malvagia e Dio si scelga chi salvare e chi no, ma tale “predestinazione” non ha nulla a che fare con il carattere universalistico di Cristo.

Insomma, a ben vedere, sono nate, tanti secoli di storia, così tante “dicerie” attorno all’avvenimento centrale per la storia dell’umanità, l’annuncio della salvezza, che è quasi strano come grandi letterati come Leopardi che io amo con tutto il cuore che ho in petto possano essere cascati in questi tranelli e in queste congetture da taverna.

Il 4 Luglio 1820, infatti, il grande poeta scrive una nota indiscutibilmente valida[3]:

fintanto ch'ella (la religione cristiana) fu come una setta, il zelo e l'ardore per sostenerla fu infinito ne' suoi seguaci. Quando divenne cosa

comune, non fu più riguardato come proprio quello ch'era di tutti, e lo spirito di corpo essendosi dileguato per la sua

grandezza, l'individuo non ci trovò più la soddisfazione sua particolare, e il Cristianesimo illanguidì.

 

Una nota del genere dice, allora, che non in tutto uno spirito magno come quello suo si è lasciato irretire dalle vulgate innumerevoli che bassi commentatori hanno fatto del grande evento.

 

Un passo indietro mi sembra, invece, che lo faccia poco più di due mesi in là. Siamo al 20 Settembre 1820[4] quando concettualizza il Cristianesimo come fonte di ozio e di illanguidimento delle forze vitali. “Ed è certo che lo spirito del Cristianesimo in genere portando gli uomini, come ho detto, alla noncuranza di questa terra, se essi sono conseguenti, debbono tendere necessariamente ad essere inattivi in tutto ciò che spetta a questa vita, e così il mondo divenir monotono e morto. Paragonate ora queste conseguenze, a quelle della religione antica, secondo cui questa era la patria, e l'altro mondo l'esilio”.

Altro errore leopardiano. Se non fosse ancora nato non dico il Signore Gesù al quale farà riferimento qualsiasi critica al Cristianesimo, dato che il Cristianesimo è Cristo, il Suo esempio e il Suo insegnamento, ma se non fosse ancora nato Lutero l’obiezione che Leopardi fa godrebbe di una qualche ricettibilità. Vero è che il cristiano mira “all’altro mondo” ma come fa ad arrivarci se non per mezzo di questa vita. La vita terrena è dunque il complemento di causa e la vita eterna il complemento di fine.

Non si insegna a scuola che tutto ha una causa, se non celeste, almeno logico-scientifica?

Ebbene, dire che il cristiano, mirando all’altro mondo si disinteressa di questo, è una delle tante banalizzazioni che ho sentito nelle quali, purtroppo, molta gente, anche lodevole, incappa.

Mi basterà ricordare, dunque, la parola di Cristo che diceva “non chiunque mi griderà –Signore, Signore- entrerà nel mio Regno” oppure mi basterà citare alcune parabole come quella delle vergini stolte o quel suo aforisma, tanto discusso, della difficoltà per un cammello di passare attraverso la cruna dell’ago?

Mi basterebbe, presumo. Tuttavia faccio notare, poiché nel medesimo passo Leopardi parla della pur lodevole azione di alcuni santi come San Carlo Borromeo (abbenché l’autore creda sia più un’azione buona fatta per sé e senza importanti conseguenze sociali), che l’azione dei Santi cristiani è non solo lodevole ma anche pratica, viva nella società. A tale proposito come dimenticare l’importanza del monachesimo dal V secolo in poi? E San Benedetto non predicava l’ora et labora? E San Francesco non faceva qualcosa di simile nella sua Regola?

Forse che il Leopardi ha voluto indicare come ci sono stati molti più uomini oziosi e in silenzio (con la scusa del disprezzo del mondo) che uomini attivi. Il che, per certi versi, è stata una componente storica della Chiesa, quella di rappresentare anche artisticamente il disprezzo per il mondo o far dipingere per ovunque teschi simbolo di morte e di corruzione delle umane cose con il noto motto “Memento mori”.

Anzi, per rincarare, si può aggiungere che è divenuta una sua politica dottrinale, un suo preciso scopo, quello di impaurire la povera gente.

Con tutto ciò si deve attende all’idea del Cristianesimo attraverso coloro che l’hanno ben interpretato. Ché il problema del Cristianesimo sta nel capirlo davvero. Cosa, questa, e sono d’accordo con Giacomo, alquanto complessa.

Non tutto ciò che è Chiesa è Cristianesimo.

Quando dunque arriva alla sentenza finale, “Paragonate ora queste conseguenze, (che il cristiano debba vivere lontano dal mondo, nella vita terrena) a quelle della religione antica, secondo cui questa era la patria, e l'altro mondo l'esilio”, Giacomo ha già, in qualche modo, “depistato” il lettore dalle indagini.

E questo lo dimostrerò, spero, con il su citato Lutero, il quale afferma, errando (tra le tantissime cose giuste che ha detto e fatto), che l’uomo per salvarsi necessiti della sola fede. “Io credo, mi salvo”.

Lasciamo stare predestinazioni, re-papi, rivendicazioni violente contro la ricchezza ecc…

Questa lettura che Lutero dà del Cristianesimo è errata, perché se il cristiano non agisse santamente nel mondo, potrebbe a tutto diritto salire su un albero e starvici su con fede aspettando che il buon Dio lo chiami. La vita, l’opportunità che ha avuto, cosa sarebbe allora? E la parabola dei talenti? E l’avere detto “Andate…” agli Apostoli?

Per questo ho detto, se non fosse ancora nato Lutero… ma Lutero era nato e diffido dall’idea che Leopardi non l’abbia mai letto. E come non ha potuto paragonare Lutero al Vangelo, se paragona i cristiani ricchi ad esso chiamandoli “ipocriti”?

 


[1] Dallo Zibaldone 80-81: Si può osservare che il Cristianesimo, senza perciò fargli nessun torto ha per un verso effettivamente peggiorato gli uomini. Basta considerare l'effetto che produce sopra i lettori della storia il carattere dei principi cristiani scellerati incomparazione degli scellerati pagani, e così dei privati, dei Patriarchi, Vescovi, e monaci greci (v. Montesquieu Gran-deur ec. Amsterd. 1781. ch.22.) o latini. Le scelleratezze dei secondi non erano per nessun modo in tanta opposizione coi loro principii. Morto il fanatismo della pietà, e il primo fervore di una religione che si considera come un'opinione propria, e una setta e cosa propria, e di cui perciò si è più gelosi (anche per li sacrifizi che costava il professarla) l'uomo in società ritorna naturalmente malvagio, colla differenza che quando gli antichi scellerati operavano o secondo i loro principii, o in opposizione di massime confuse poco note e controverse, i cristiani operavano contro massime certe stabilite definite, e di cui erano intimamente persuasi, e l'uomo è sempre tanto più [81] scellerato quanto più sforzo costa l'esserlo, massimamente contro se stesso, come per contrario accade della pietà. E infatti da quando il cristianesimo fu corrotto nei cuori, cioè presso a poco da quando divenne religione imperiale e riconosciuta per nazionale, e passò in uomini posti in circostanze da esser malvagi, è incontrastabile che le scelleratezze mutaron faccia e il carattere di Costantino e degli altri scellerati imperatori cristiani, vescovi ec. è evidentemente più odioso di quello dei Tiberi dei Caligola ec. e dei Marii e dei Cinna ec. e di una tempra di scelleraggine tutta nuova e più terribile. E secondo me a questo cioè al cristianesimo si deve in gran parte attribuire (giacchè il guasto cristianesimo era una parte di guasto incivilimento) la nuova idea della scelleratezza dell'età media molto differente e più orribile di quella dell'età antiche anche più barbare: e questa nuova idea si è mantenuta più o meno sino a questi ultimi tempi nei quali l'incredulità avendo fatti tanti progressi, il carattere delle malvagità si è un poco ravvicinato all'antico, se non quanto i gran progressi e il gran divulgamento dei lumi chiari e determinati della morale universale molto più tenebrosa presso gli antichi anche più civili, non lascia tanto campo alla scelleraggine di seguire più placidamente il suo corso. V. p.710. capoverso 1.

 

[2] E una delle gran cagioni del cangiamento nella natura del dolore antico messo col moderno, è il Cristianesimo, che ha solennemente dichiarata e stabilita e per così dire attivata la massima della certa infelicità e nullità della vita umana, laddove gli antichi come non doveano considerarla come cosa degna delle loro cure, se gli stessi Dei secondo la loro mitologia s'interessavano sì grandemente alle cose umane per se stesse (e non in relazione a un avvenire), erano animati dalle stesse passioni nostre, esercitavano particolarmente le nostre stesse arti (la musica, la poesia ec.), e insomma si occupavano intieramente delle stesse cose di cui noi ci occupiamo? Non è però ch'io consideri intieramente il cristianesimo come cagion prima di questo cangiamento, potendo anzi esserne stato in parte prodotto esso stesso (come

opina Beniamino Constant in un articolo sui PP. della Chiesa riferito nello Spettatore) ma solamente come propagatore

principale di tale rivoluzione del cuore.

[3] Quel che ho detto qui sopra non è l'ultima delle cagioni per cui il fervore del Cristianesimo s'indebolì colla dilatazione di essa religione, di quella religione istessa, che (senza però condannare l'amor della patria, dimostrato dallo stesso Cristo piangente sopra Gerusalemme) tuttavia ha per uno de' fondamenti l'amore universale verso tutti gli uomini. E contuttociò fintanto ch'ella fu come una setta, il zelo e l'ardore per sostenerla fu infinito ne' suoi seguaci. Quando divenne cosa comune, non fu più riguardato come proprio quello ch'era di tutti, e lo spirito di corpo essendosi dileguato per la sua grandezza, l'individuo non ci trovò più la soddisfazione sua particolare, e il Cristianesimo illanguidì.

 

[4] Dal 2. pensiero della p.116. inferite come, anche secondo questa sola considerazione, il Cristianesimo debba aver reso l'uomo inattivo e ridottolo invece ad esser contemplativo, e per conseguenza com'egli sia favorevole al dispotismo, non per principio (perchè il cristianesimo nè loda la tirannia, nè vieta di combatterla, o di fuggirla, o d'impedirla), ma per conseguenza materiale, perchè se l'uomo considera questa terra come un esilio, e non ha cura se non di una patria situata nell'altro mondo, che gl'importa della tirannia? Ed i popoli abituati (massime il volgo) alla speranza di beni d'un'altra vita, divengono inetti per questa, o se non altro, incapaci di quei grandi stimoli che producono le grandi azioni.

Laonde si può dire generalmente anche astraendo dal dispotismo, che il cristianesimo ha contribuito non poco a distruggere il bello il grande il vivo il vario di questo mondo, riducendo gli uomini dall'operare al pensare e al pregare, o vero all'operar solamente cose dirette alla propria santificazione ec. sopra la quale specie di uomini è impossibile che non sorga immediatamente un padrone. Non è veramente che la religion cristiana condanni o non lodi l'attività. Esempio un San Carlo Borromeo, un San Vincenzo de Paolis. Ma in primo luogo l'attività di questi santi [254]se bene li portava ad azioni eroiche (e per questa parte grandi) ed utili, non dava gran vita al mondo, perché la grandezza delle loro azioni era piuttosto relativa ad essi stessi che assoluta, e piuttosto intima e metafisica, che materiale. In secondo luogo, parendo che il cristianesimo faccia consistere la perfezione piuttosto nell'oscurità nel silenzio, e in somma nella totale dimenticanza di quanto appartiene a questo esilio, egli ha prodotto e dovuto produrre cento Pacomi e Macari per un San Carlo Borromeo, ed è certo che lo spirito del Cristianesimo in genere portando gli uomini, come ho detto, alla noncuranza di questa terra, se essi sono conseguenti, debbono tendere necessariamente ad essere inattivi in tutto ciò che spetta a questa vita, e così il mondo divenir monotono e morto. Paragonate ora queste conseguenze, a quelle della religione antica, secondo cui questa era la patria, e l'altro mondo l'esilio.